autogatto, storia a lieto fine di un felino abbandonato

Da Plus1gmt

Dunque, sono in ingresso al casello autostradale di Bettole (SI), sono lì fermo perché pur pigiando ripetutamente il pulsante, il biglietto non esce. Scendo a smadonnare accanendomi sul sistema di richiesta di aiuto, nessuno risponde, la barra è su e Autostrade per l’Italia non dà segno di vita. Nel frattempo si forma la coda dietro e cresce il mio imbarazzo di contribuire al traffico del rientro dal ponte. Improvviso una sorta di danza propiziatoria per convincere gli automobilisti a cambiare porta, facendo i gesti più preoccupanti che conosca. Come se non bastasse, il tizio sull’auto appena dopo di me mi dice di stare attento a ripartire, ho un gattino sotto il veicolo. Mi chino, ma appena quello mi vede, è minuscolo, avrà a malapena un mese, con un balzo salza dentro un anfratto dell’auto (non chiedetemi quale, la mia conoscenza dei motori è inqualificabile).

Panico, partono i primi clacson, spunta anche il biglietto dalla fessura. Porto l’auto più avanti di qualche metro, mi metto carponi ma non si vede nulla. Memore di Pollicino, azzardo un sentiero di pezzettini di prosciutto crudo tra il sotto dell’auto e me, l’unica cosa commestibile che è sopravvissuta alla vacanza. Ma il terrore e il trambusto sono troppi, nulla vale un nascondiglio sicuro. E, mio caro felino in miniatura prossimo al sacrificio, quel nascondiglio è un simulacro di salvezza, che addirittura ti può essere fatale. Nonostante ciò, l’istinto opta per l’immediato certo.

Così mia moglie ed io cerchiamo di far capire a nostra figlia che purtroppo non c’è nulla da fare, non c’è soluzione alcuna. Il gattino è stato abbandonato, così piccolo probabilmente avrà appena lasciato il resto di un gruppo di fratellini, l’accostamento animali-arterie stradali purtroppo non lascia scampo. Ci abbiamo provato, ma probabilmente è un segno che la natura e il destino debbano seguire il loro corso. Noi anche, se vogliamo tornare a casa. Avvio il motore, ingrano le marce e mi rimetto in viaggio. L’umore nell’abitacolo non è dei migliori. Magari nel frattempo è già caduto, appena avrà sentito il motore sarà fuggito. Chissà.

Mi fermo comunque al primo Autogrill perché ho avuto un’illuminazione, che in realtà avrei potuto avere anche prima. Proviamo a sollevare l’auto con il cric. Mentre mi accorgo di esserne sprovvisto, è mia moglie ad avere la tragica visione: si vede uno zampino penzolare inerme sotto la vettura. Mi chino e confermo il nefasto presagio. E comunque conviene intervenire asportando quel che rimane del cadavere, mica posso lasciarlo lì. Una coppia di clienti alle prese con il self service si mobilita per prestarmi l’attrezzo, il mio devo averlo lasciato chissà dove quella volta che in Sardegna ho forato rientrando sulla strada sterrata del campeggio ebbro di Monica di Sardegna dall’agriturismo. Riesco a sollevare l’auto il minimo sufficiente a far passare la testa e il torace e vado in immersione, non senza il timore che il cric ceda e che giornata, ponte ed esistenza finiscano sull’asfalto rovente di una stazione di servizio. Provo a toccare la zampetta, che si ritrae all’istante. Rassicuro il pubblico sullo stato di salute del micino, che ora riesco a vedere negli occhi (aperti). La zampetta lascia il posto alla coda che afferro con forza riuscendo così a staccarlo da lì, a prenderlo al volo e a tirarmi fuori da quella pressa in potenza gatto alla mano.

Il piccoletto, in condizioni perfette e senza nemmeno una bruciatura ma comprensibilmente fuori di sé,  non mi ha risparmiato le dita di graffi ed è stato così immediatamente riposto in uno scatolone di cartone fornito da una dipendente dell’Autogrill solidale. La seconda esperienza di vita di “Telepass”, così battezzato all’istante, sicuramente meno avventurosa di un viaggio ai 130 aggrappato al fondo di un’auto, è stata quindi un faticosissimo rientro a Milano dopo nove ore di coda. Che comunque, sano e salvo, potrà raccontare alla sua famiglia adottiva.



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