Autolesionismo significa causare in modo intenzionale e ripetitivo un danno al proprio corpo, procurandosi ad esempio tagli (cutting), bruciature (burning), lividi, escoriazioni. L’obiettivo non è uccidersi, ma trovare sollievo da una sofferenza emotiva.
Tagli, bruciature e pratiche affini è come se inghiottissero emozioni negative troppo intense da sopportare, soprattutto la rabbia, la tristezza, la solitudine, o pensieri negativi riguardo se stessi, ad esempio il considerarsi dei buoni a nulla. Così, il dolore per essersi presi le dita a martellate prende il posto della rabbia verso una persona che si ama e a cui non si riesce a dire quello che si vorrebbe o verso se stessi perché la reazione dinanzi a una certa situazione è stata inadeguata. È come uno stop che dà sollievo, almeno per un po’.
Tagli, bruciature, ossa rotte parlano di un dolore che la persona non è in grado di elaborare o esprimere in modo costruttivo, su cui non riesce a riflettere senza esserne travolta.È come se il corpo fosse un foglio su cui disegnare la propria sofferenza: la sofferenza psicologica diventa a volte talmente intensa che, non avendo parole adatte a dirla, l’unico modo per non esserne schiacciati e trovare un sollievo almeno provvisorio è esprimerla attraverso il corpo.
In psicologia, questa difficoltà nel riconoscere e descrivere a parole le proprie emozioni, nel dire come ci si sente è chiamata alessitimia.
L’autolesionismo è un tentativo di suicidio che non è riuscito?
L’autolesionismo non è un tentativo di uccidersi. L’obiettivo dell’autolesionismo non è morire e molte delle persone che si tagliano o si bruciano intenzionalmente dicono di farlo per sentirsi vivi, per sentirsi meglio, per avere sollievo da uno stato di confusione o tensione. Tuttavia, sebbene il tentativo di suicidio e l’autolesionismo siano due comportamenti differenti, chi ricorre all’autolesionismo può avere sintomi di depressione e idee suicidarie che vanno valutati con attenzione.
C’è da preoccuparsi anche se tagli e bruciature sono lievi?
Il dolore psicologico provato da una persona non è proporzionale alla gravità delle ferite che si infligge con lamette, bruciature etc. Questo significa che è il comportamento in sé che dovrebbe destare allarme.
L’autolesionismo è un modo per ottenere attenzione?
L’autolesionismo non serve a suscitare l’attenzione degli altri. Chi si taglia o si brucia è raro lo faccia davanti ad altre persone e il più delle volte cerca di tenere nascosto questo comportamento, perché se ne vergogna e teme di essere considerato pazzo o stupido o di suscitare disgusto. È una solitaria ricerca di sollievo.
Chi ricorre all’autolesionismo sente dolore?
Chi si taglia, si brucia o si procura lividi prova dolore eccome! È appunto il dolore ad aiutare a recuperare il contatto con se stessi, a dare la sensazione di essere in grado di controllare, se non la propria vita, almeno il proprio corpo. Dopo il dolore c’è il sollievo.
L’autolesionismo è solo una cosa da adolescenti?
L’autolesionismo spesso comincia durante l’adolescenza e non è detto che la persona trovi da sola strategie più mature e sane per controllare emozioni e situazioni. L’aiuto di un esperto è spesso un primo passo per venirne fuori.
Per approfondire
Pommereau X. (1997). Quando un adolescente soffre. Pratiche Editrice, Milano, 1998.
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Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, è responsabile dell’area prevenzione dei comportamenti a rischio in adolescenza per l’associazione PreSaM onlus. Nell’ambito dell’educazione alla salute e della peer education, ha condotto numerose attività di formazione e ha pubblicato il volume L’adolescenza come risorsa. Per saperne di più, visita la sua pagina personale e leggi gli altri articoli.
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