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autoproduzione

Creato il 04 marzo 2012 da Gaia

Io avevo già, tempo fa, espresso il mio desiderio di una riscoperta dell’autoproduzione in più campi possibili. In quel post facevo discorsi generali: ora ho esperimenti più specifici da raccontare, che potrebbero essere utili come spunti, forse, anche a voi che leggete.
Premessa: adesso ho pochi soldi da spendere e devo farmi bastare quello che c’è. Mi rendo conto che, spostando l’attenzione dal denaro alla materia, su cui è effettivamente basato il mondo in cui viviamo, si scoprono un sacco di cose (o riscoprono… i contadini di una volta le sapevano bene). Non posso comprarmi molto, ma ho la casa piena di stracci (vecchi vestiti, vecchi asciugamani, vecchi grembiuli, vecchie calze…). Con questi si possono fare molte cose utili, come ho sperimentato con risultati più o meno soddisfacenti: ciabatte, accappatoi, presine, borse, elastici… spendo solo i soldi del filo, e spesso neanche quelli: ne ho già a casa e prima di smaltire tutte le cose inutili comprate dalla mia famiglia negli anni, potrei diventare vecchia. E’ incredibile: ho un appartamento, non un palazzo, eppure questo appartamento continua a risputare a intervalli imprevedibili vecchi tesori – l’altro giorno ho aperto una cassapanca ed era piena di tazze e bicchieri, più di quanti riuscirò ad usarne. Con tutte le cose che ci sono nelle nostre case e nei mercati dell’usato, davvero non capisco come possa sopravvivere economicamente l’Ikea (ovviamente lo capisco benissimo).
Ho un appartamento e non posso coltivare del cibo, ma in veranda ho messo prezzemolo, rosmarino e salvia, e sto facendo crescere una piantina di patata – se cresceranno anche le patate, lo scoprirò tra qualche settimana. Ogni mattina torno con apprensione al capezzale del mio basilico, sperando che si riprenda, altrimenti dovrò comprarne un altro (sconfitta).
Ho eliminato quasi tutti i prodotti cosmetici che riempiono le nostre case, con poche eccezioni. In particolare, ho eliminato tutti i prodotti non necessari di ‘bellezza’ di cui ci incantano più gli imballaggi e le descrizioni (marketing) che l’effettiva utilità. Leggo gli ingredienti di tutto, imparo rudimentali nozioni chimiche (l‘INCI), e vedo quante schifezze ci sono nei prodotti industriali. Quindi al posto di maschere per i capelli uso olio di semi di lino o d’oliva, al posto di creme industriali sulla pelle olio di mandorle emulsionato con acqua, al posto dello shampoo secco la farina di ceci – tutte queste cose sono totalmente biodegradabili, derivate da un singolo prodotto naturale e quindi a bassa lavorazione industriale, più sicure ed efficaci; inoltre non creano quella dipendenza perversa dai prodotti cosmetici la cui esistenza io non posso dimostrare, ma che ho constatato su me stessa: meno roba metto, meno il mio corpo ne ha bisogno. Prima, creme su creme, burro cacao, balsami, e non bastavano mai, ora metto un po’ d’olio ogni tanto, e non ho bisogno di altro, il mio corpo fa da sè. Suggerisco di informarsi ad esempio sull’uso dei siliconi nella cosmesi per capire a che tipo di situazione mi riferisco.
Pulisco la casa da sola: ovviamente pagare qualcuno per farlo è fuori discussione, non posso permetterlo e non mi sembra giusto. Penso che ognuno dovrebbe pulire da sè dove sporca, a meno che non sia impossibilitato a farlo, perché magari molto anziano o disabile. So che la gente paga una donna delle pulizie (mai un uomo delle pulizie) perchè lavora tanto: io sono appunto per una riduzione degli orari di lavoro, del salario, e dei servizi a pagamento quando ci si può arrangiare da sè.
Avendo meno soldi e più tempo, cucino quasi sempre in casa. Mi sono messa a fare a mano anche cose che solitamente si comprano, come la pasta all’uovo o i falafel (entrambi molto semplici). Per pulire le superfici della cucina uso acqua e aceto di vino bianco, che sgrassa, non costa, e non inquina.
Spero che questo post non sembri la rubrica dei consigli tra massaie (stereotipo di genere voluto), perché io sono convinta che anche così si crei la società del futuro.
Ho scoperto di poter vivere con pochissimo, e di poterlo dimostrare, il che ha una potenza enorme in una società in cui a nessuno bastano mai i soldi che ha.
Però il paradosso di un’economia basata sull’autoproduzione è che, permettendo di vivere con poco denaro, ci trasforma in poveri appena siamo costretti a rientrare in un’economia sprecona e troppo basata sulla moneta. Con i soldi dei libri e dei lavoretti io riesco, anche se a fatica, a mantenermi, e non pagando l’affitto*, indossando vecchi vestiti altrui e muovendomi senz’auto, salvo rari casi, vivo con meno di duecento euro al mese, tutto compreso. Avere un po’ di più sarebbe bello, ma non necessario per il momento alla mia sopravvivenza.
Il problema, oltre all’ovvio fatto che ci sono spese impreviste, è che la nostra società stabilisce prezzi alti per tutto quello che non rientra nella cerchia dei beni essenziali che si possono autoprodurre. Questo perché chi autoproduce nel modo che ho descritto pratica il risparmio e la decrescita, ma lo stato e le aziende raramente, né certi servizi sono totalmente gratuiti, come secondo me sarebbe giusto: e allora costa la sanità, costano i trasporti, sono alte le tasse; le aziende sprecano, in materiali, in servizi, in pubblicità, in stipendi dirigenziali, e allora dobbiamo pagare cari certi prodotti e servizi. Insomma, chi sa provvedere al proprio sostentamento pratico, non monetario, chi sa autoprodurre, è adatto a vivere in una società ideale che però non è la nostra.
Ad esempio: con venti euro posso vivere anche una settimana, ma se devo fare una visita importante per la mia salute, ne spendo il doppio. I figli di medici, come anche ad esempio i figli dei ferrovieri, godono di privilegi, non dovrei dirlo pubblicamente ma lo faccio: ogni categoria professionale (che io sappia) ha una certa solidarietà al suo interno, e io non sempre pago le visite. Questa è un’arma a doppio taglio, mi fa sentire a disagio, alle volte è meglio pagare che chiedere un piacere, anche se tra medici i piaceri sono la prassi. Eppure ci sono visite e controlli che non mi posso permettere e quindi non faccio, certi farmaci costano cari ma se non li prendi peggiori, e pur essendo disoccupata al momento non sarei esente, almeno a quanto scritto sui documenti regionali che ho consultato.
Non sto dicendo queste cose per vittimismo: sono convinta ancora di essere una privilegiata, e gli abbassamenti del mio tenore di vita sono voluti, sono il mio contributo pratico alla teoria della decrescita, la dimostrazione che quello che predico è possibile e anche bello. Vivo molto bene così: scrivo, ho tempo per le cose che mi appassionano, tra cui la vita sociale e di comunità, faccio molta attività intellettuale gratuita (blog, comunicati stampa, volontariato) con cui credo di contribuire alla società più di molti giornalisti pagati e incapaci, che però un posto in redazione e uno stipendio ce l’hanno. E ho il tempo di lavorare ai romanzi.
Con questo post voglio solo sottolineare alcune delle cose che dovrebbero cambiare per una vera società della decrescita. E’ un accenno, ho da scrivere ancora molto.

* Questo mi viene rinfacciato spesso: facile per te, hai la casa gratis… in realtà gli affitti a Udine sono abbastanza bassi, e se si mettesse in pratica una tassazione pesante degli alloggi sfitti, e incentivi a chi affitta e a chi ristruttura, potrebbero abbassarsi ancora.

 

[Oggi mi sono trattenuta dal parlare di tav, ma guardatevi, se non l'avete già visto, questo video di Travaglio. Discutibile in qualche punto, imperfetto, ma nonostante questo magistrale.]


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