Si avvicina il pieno dell’estate, tempo di vacanze, di mare, di riposo.
Per me è anche tempo di ricordi. Quando ero bambina e poi adolescente il tempo estivo veniva trascorso quasi interamente in campagna. Ho imparato ad apprezzare allora il valore del silenzio, il ritmo lento delle giornate torride, il verso rassicurante delle cicale.
Fra le attività che spezzavano la lentezza dei nostri soggiorni, una in particolare. La preparazione delle conserve di pomodoro. Si mobilitava l’intera famiglia, due giorni di lavoro intensi per una produzione sufficiente per tutti i nuclei familiari. Ricordo che un anno abbiamo trasformato quasi tre quintali di pomodori, una quantità enorme!
Si “produceva” la classica passata, di solito. Ma qualche anno abbiamo fatto anche pomodori pelati e solo in due occasioni pomodori secchi e concentrato di pomodoro, preparazioni più difficili da riuscire perfettamente.
Da ragazzina ero affascinata da tutto questo lavoro, fatto di fretta, condensato in due giorni. Ma come i ragazzini di questo mondo, mi annoiavo presto.
Questa attività si è persa nel tempo, le famiglie hanno cominciato a fare le vacanze altrove, hanno in parte cambiato alimentazione, e (quel che è peggio) considerano uno sforzo inutile fare le conserve, visto che “quelle in commercio sono buone e non costano poi tanto”.
Io invece oggi ho recuperato il senso di quelle giornate, l’utilità del lavoro collettivo, la ricerca della “conservazione” del sapore estivo, lo sforzo finalizzato a un’utilità futura non astratta ma terribilmente concreta. Oggi ho ripreso a fare le conserve per la mia famiglia. Certo non ai livelli di allora, le quantità sono ridotte, lo sforzo dilazionato nel tempo (dal momento che sono sola).
Ma non nascondo che mi piacerebbe ripetere l’esperienza, in campagna, in compagnia magari di qualche amico che come me ritrova la voglia di recuperare gesti e sapori di un tempo.