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autori LietoColle: Candelaria Romero

Da Narcyso

Candelaria Romero, POESIE DI FINE DEL MONDO (1988-2009) Lietocolle 2010

candelaria-romero
Non giocano a nascondersi queste poesie di Candelaria Romero. Sono asciutte nella loro evidenza e violenza, come le dimensioni di un piccolo quadro con tutti i particolari in evidenza. Divise in quattro capitoli tematici, approdano alla metafora finale: poesia scritta a “Fin del mundo”, cartello stradale sul sentiero de los Sosa, Argentina.
Che cosa chiede, dunque, l’autrice, alla poesia? Chiede non poco: e cioè la salvezza. E di quale salvezza si tratta? Forse di una forma di riscatto, almeno nelle parole, di una tragica scena dell’infanzia. Ma poi anche, nella perpetuazione della violenza subita da un popolo intero, la poesia chiede civiltà, umanità, una sensibilità ulteriore per poter dire del corpo: corpo vissuto e corpo subito; corpo privato e corpo sociale.
Rimangono impresse scene come questa:

SPUTO DI MAMMA

Il vento nasce dal mio dondolo
un cuore dipinto di blu è il mare con un cuore dentro
e tu madre mi sputi in faccia
non sai dove mettere l’ira
urli
E mi rubi baci bagnati.

E ancora: la poesia non canta solo il dolore e la violenza. Ha le armi per cantare la vita tutta, farsi parola del mondo nel modo che può fare la poesia: e cioè “non esiste poesia per scaldare cuori”, “contemplare è compito dei poeti”.
E’ un compito scrivere; con un dubbio: “Come stare in equilibrio/fra un mondo che è un mondo/e un blu infinito di poesia?”.
Insomma, fuori dalle mode e dal cosmopolitismo delle grandi correnti letterarie, la poesia è varietà, flusso, canto funebre o carnascialesco, parola che non trova senso, parola senza remore o appigli.
Si può fare poesia appellandosi direttamente alle urgenze della vita e preservando della scrittura, la possibilità e il rischio di esercitare la propria libertà.

Sebastiano Aglieco

Qui  Qui

*

CANTILENE E FILASTROCCHE

Filastrocca canticchiata
mentre guardi saltare tua sorella sulla corda
e pensi ai salti e la corda e canti.
Appare un uomo
è il tonto de quartiere
farfuglia qualcosa
mia sorella è sua preda
mutandine bianche scese su piccole ginocchia
odore di urina
silenzio singhiozzi.
Su quel terrazzo non si gioca più.
Filastrocca a metà
conta dimezzata.
La voce di una madre irrompe.
Il tonto scappa.
Da allora non ricordo più come faceva la cantilena.

*

MADRE LUPA
a mia madre lupa, Marisa
Arrivi
la pancia la mandibola s’induriscono
domande tornano
lente ingrandisce separa riordina scarta rimette
versi riempiono pareti
le parole hanno un proprio ordine di cosmo
fino a non riconoscersi più
mentre profumi un angolo di grattacielo.
Madre lupa rintana ieri.

*

NAIRA

Pancia smagliata
labbra lacerate
corpo aperto
placenta acqua uterina
corpo dentro e fuori il corpo
seno succhiato
anche io nacqui oggi
madre di figlia.

*

CISTI

Nell’ovaio sinistro ho una cisti
cresce per ogni nuova luna
e quando non mi fecondi furiosa la cisti s’annega
e ciò che non ti ho detto affoga insieme a lei
per un altro mese di silenzio
tra le mura del mio grembo eterno e sacro
in burrasca.

*

Non esiste poesia per scaldare cuori
ma morte o se volete suicidio.
Strangola la china nera il bianco delle pagine
chiede ossigeno che qui fra le righe non trova
punti tagliano il fiato
pagine calpestate di errori
e tu arriverai puntuale
un attimo dopo la fine
dando un senso a questa frase.


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