Il mio peregrinare ramingo e solitario per il mondo mi riporta per qualche giorno nella fallimentare Atene, al centro dei piani di austerity imposti dal Fondo Monetario Internazionale e a un passo dagli scioperi e dagli scontri di piazza che, di nuovo, incendiano le strade della città.
Ma tra le centinaia di ristorantini tipici odorosi di feta e moussaka che rumoreggiano sotto l’Acropoli, la crisi sembra non essere arrivata: i turisti continuano a comprare i loro capitelli made in China che cambiano colore a seconda del tempo e le saponette all’olio di oliva, il sirtaki esce dai locali al volume di sempre, e un fiume di americani, tedeschi, francesi, italiani estrae le luccicanti carte di credito a beneficio degli operatori locali.
Abituato a saltare da una nazione all’altra in compagnia solo del mio taccuino Moleskine e di un buon romanzo da leggere (stavolta le bozze del mio “La Signorina Cuorinfranti”, in uscita il prossimo luglio e attualmente in fase di revisione), non mi rattristo nel rendermi conto che, in tutta piazza Monastiraki, io sono l’unico seduto al tavolo da solo, e che è assai raro – specie in questi posti fatti apposta per i vacanzieri – vedere qualcuno passeggiare o cenare in compagnia di se stesso.
Pur essendo un soggetto facile alla depressione, non ho mai sofferto per la mia condizione di viaggiatore solitario. Certo mi manca il mio compagno, e ogni volta immagino a quanto sarebbe fantastico condividere la bellezza di certi posti con lui; ma questo non esclude il fatto che su di me eserciti un certo fascino anche l’idea un po’ romantica di essere – fidanzato escluso – il miglior compagno di viaggio di me stesso.
Ce’è solo una situazione che, a differenza di tutte le altre in cui un turista autotrofo si può trovare, mi causa imbarazzo e mi fa sentire uno sfigato totale. A volta capita che, proprio per condividere la bellezza di un luogo particolarmente emozionante, decida di scattarmi una foto col cellulare per spedire una cartolina via mms a chi vorrei tanto avere in quel momento lì accanto me. E allora ecco che mi lascio andare a goffe acrobazie, allungando il braccio con il telefonino in mano e cercando di centrare bene l’inquadratura per farci entrare sia me che lo scenario retrostante. Guardo nell’obiettivo assumendo foto da ebete, desideroso di risolvere il tutto nel più breve tempo possibile in modo che nessuno dei passanti noti i miei ridicoli tentativi di fotografarmi da me.
Il più delle volte ceffo completamente la mira, riuscendo a prendere solo metà del mio viso, tagliandomi completamente la fronte o il mento oppure, al contrario, coprendo con il mio faccione in primo piano la scenografia che mi aveva scatenato il desiderio di immortalare il momento. E allora finisco sempre col sentirmi un perfetto idiota, uno sfigato integrale, e con l’avvertire una forte paura che qualcuno attorno a me smascheri la mia cretineria.
In ogni caso, per fortuna, questa spiacevole sensazione mi fa mai desistere dallo scattare la foto. Perché, nonostante tutto, preferisco magari esser preso per fesso da qualche perfetto sconosciuto piuttosto che rinunciare a fermare un bel momento in un’immagine che me lo faccia ricordare.
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