25 LUGLIO – “La vita e’ adesso”, recita il refrain di una famosa canzone di Baglioni. Evidentemente la stagione delle decisioni difficili per il nostro Paese (parafrasando) non è ancora terminata così come non si intravvede ancora, leggendo le motivazioni alla base dell’abbassamento ulteriore del rating sulla banche del Paese, effettuato ieri sera da Standard and Poor’s. Non sembra vi sia, infatti, sui media la percezione di quanto sia profondo il mare. Quanto sia ancora fragile la barca di giunchi sulla quale navighiamo tutti insieme, da sud a nord . La decisione si innesta su quella del 10 luglio scorso. Ovvia conseguenza. Con l’1,9 per cento di decrescita del prodotto interno lordo nel 2013, l’Italia, dall’inizio della crisi sei anni fa, avrà perso in termini reali ben il 9 per cento del reddito nazionale. Quel che è peggio, scrive però Standard and Poor’s, è che un’inversione di tendenza significativa potrebbe non avvenire nel 2014. Nota Standard and Poor’s che dopo sei anni di crisi economica gli investimenti sono ridotti di un quarto e che il prodotto pro capite è inferiore a quello del 2007, mostrando numeri che sottolineano la durezza della crisi che ha colpito l’Italia, e che ha pochi eguali fra i principali Paesi del mondo, a testimoniare che la crisi italiana parte da lontano, dopo oltre vent’anni di nulla a livello politico. Anche a causa del rischio Paese l’agenzia di rating ha deciso di tagliare il rating di lungo periodo di 18 fra banche e società finanziarie italiane, con la rilevantissima esclusione di Unicredit e Intesa Sanpaolo (rating BBB), ovvero i maggiori gruppi italiani, il cui rating, tuttavia, era stato già abbassato di recente. Si trattava di una decisione ovvia a seguito della retrocessione dell’Italia decisa nei giorni scorsi dalla stessa agenzia. Una recessione più lunga e profonda del previsto dunque. Serve a questo punto il confronto con il paese del Sol Levante. Li la recessione durò ben dieci anni e poi sappiamo come ne stanno uscendo. E da noi? Ancora il dibattito è attorno a cose risibili: se serve o meno un nuovo vestito costituzionale, se si possa o meno abolire l’Imu, i guai giudiziari di Berlusconi e via dicendo. Ma chissà se ancora una volta lo stellone italico basterà per ridare slancio ad un Paese ormai cotto, non solo dall’effetto della calura africana di questi ultimi giorni. Più volte l’abbiamo detto e ancora una volta ribadiamo che risulta particolarmente urgente, alla luce proprio delle valutazioni dell’Agenzia statunitense, una politica economica basata sulla domanda, sulle famiglie e impostata sul lungo termine. L’Italia fatica ad uscire dal credit crunch anche a causa delle stringenti regole sul credito, imposte da Palazzo Kock, e giudicate dallo stesso FMI iperprudenti. E quando finisce l’oro che cosa può dare alla Patria il cittadino onesto? Denaro, lavoro, tasse ed energia ai prezzi più alti tra i paesi industrializzati e mentre le statistiche di Trilussa dicono che l’Eurozona vede migliori delle stime le aspettative per Germania e Francia, corre la mente a quanto avvenuto nel passato quando su “Il Popolo d’Italia” del 1° luglio 1926 Mussolini scriveva: “Ho ancora una battaglia da vincere : è la battaglia per la restaurazione economica dell’Italia. Nelle altre battaglie che il regime fascista ha dovuto combattere, la vittoria è già stata conseguita. Abbiamo vinto la battaglia contro la faziosa opposizione parlamentare (sarebbero i grillini di oggi ), siamo riusciti a riunire tutte le forze produttive della nazione in uno Stato corporativo, abbiamo trionfato nel campo della finanza nazionale convertendo il deficit annuo in un sopravanzo di quasi due miliardi di lire. Ora dedico tutta la mia attenzione alla restaurazione della bilancia commerciale e alla stabilizzazione del cambio sulla lira. In una tempesta, se il capitano della nave decide di fare buttare a mare le merci dei passeggeri per alleggerire lo scafo, i proprietari non protestano perché sanno che il sacrificio a loro inflitto Serve per il bene di tutti, e, per conseguenza, anche per il loro personale vantaggio”.
Quando giunse la bufera mondiale del ’29 che durò fino al 1933, l’Italia fu in grado di affrontarla meglio di tante altre nazioni industriali. Si può ben dire che negli anni della bonifica integrale tutto il territorio italiano era un’enorme, bruciante, palpitante, esaltante fucina di opere, azionata da braccia, da idee, da inesauribile volontà di cambiare il volto a un’Italia rurale che aveva dormito per secoli. Noi non siamo per il regime dittatoriale, ci mancherebbe altro. Ma una rilettura meno “tifosa” degli eventi probabilmente potrebbe indicare qualche innovazione anche all’oggi. Bisogna avere coraggio anche se, come faceva dire il Manzoni al prete che non voleva celebrare il matrimonio ne “I Promessi Sposi “il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare”.
Siamo “rinati” (con il Rinascimento), siamo “risorti” (con la Resistenza) abbiamo visto il miracolo (l’industrializzazione) e adesso? Serve uno scatto di reni, un pensiero positivo che aiuti il nostro Paese ad immaginare un pronto aggancio alla ripresa. Che deve avvenire nel 2014, smentendo così le Agenzie di Rating.
Carlo Rossi
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