Ave Maria!Sac. Dolindo RuotoloApostolato Stampa - Napoli ...

Da Eleonoraely

Ave Maria!

Sac. Dolindo Ruotolo
Apostolato Stampa - Napoli – Riano – Sessa Aurunca 1984



Parte Seconda

Cap. XIV


L’immensità dei meriti di Maria
e) - Il Magnificat del Calvario.
Sul Calvario Maria cantò il suo cantico nel profondo del suo Cuore trapassato dal dolore più acerbo, in armonia con l'immolazione del suo Figliolo, mirabile canto di lode e di riparazione a Dio nella redenzione del genere umano. Essa aveva donato al Verbo di Dio, fatto carne, quel corpo divino come vittima di amore; era la somma glorificazione di Dio nel suo sacrificio, era il sommo atto di amore di Maria, a piè della Croce, che riparava il peccato di Eva a piè dell'albero fatale. Eva vide il frutto dell'albero bello di aspetto e dilettevole al gusto, Maria vide il suo frutto divino tutto sfigurato e amarissimo per il suo materno Cuore, e cantò con Lui che s'immolava stillando sangue, cantò stillando lacrime amare: L'anima mia glorifica il Signore.
Sul Calvario si compiva la Redenzione, e si compivano i meriti del Redentore, per il cui 

« intuito » Essa era stata sottratta alla colpa originale, ed era stata concepita Immacolata. Era il canto doloroso dell'amore del Redentore, che coglieva il primo frutto del suo sacrificio, invocando il perdono per i crocifissori, perdono che doveva passare di generazione in generazione, come onda di misericordia, salvando prima di tutti il ladro che era crocifisso alla sua destra. E Maria, gemendo, esultava nel suo Dio Salvatore, ringraziandolo con la stessa ricchezza del suo Sangue e con l'effluvio doloroso delle proprie lacrime. Dio guardava l’umiliazione del suo Figliolo umanato, e per il suo sacrificio perdonava ai peccatori, e Gesù guardava la Madre sua nella profonda umiliazione del suo dolore, madre del condannato alla più infame ed umiliante morte innanzi agli uomini, e la faceva madre di misericordia per i secoli, che l'avrebbero acclamata beata, per la sua materna bontà.
E Maria cantava gemendo: Egli guarda la mia piccolezza, e per Lui immolato mi chiameranno beata i figli dei secoli che mi ha donati. Gesù la fece grande allora, e il novello fiat di Maria l'arricchì d'incomparabile santità, perché l'arricchì di meriti infiniti. Perciò Maria cantò esultando la potenza del suo Figliolo che la faceva grande, e la santità sua che l'arricchiva di grazie per tutta l'umanità, per attrarle la misericordia di Dio: Ha fatto in me cose grandi colui che è potente, il cui nome è santo, e la sua misericordia passa da generazione in generazione su quelli che lo temono.
Sul Calvario Gesù era ridotto come un verme, nudo e sanguinante nella sua immolazione, vinto ed impotente nella sua crocifissa immobilità, fino a raccogliere lo scherno dei suoi crocifissori; ma proprio allora Egli era il potente che vinceva, il Re che abbatteva il regno ed i regni di satana, ed esaltava Maria come Regina.
Aveva dato un grido di spasimo, perché era ridotto come un abbandonato da Dio, ma per quell'abbandono aveva riconciliato l'uomo con Dio, che per il peccato lo aveva abbandonato, ed aveva arricchito l’umanità, richiamandola a Sé per donarla al Signore, con lo spasimo della sua ardente sete del corpo e del Cuore suo. Aveva compiuta la sua opera con la bevanda del fiele e dell'aceto, che compiva le profezie e suggellava la misericordia sua, quasi suggendo dalla piaga purulenta dell'uomo caduto le ultime stille della sua amarezza e della sua asprezza, e rimettendo l'anima sua nelle mani del Padre, per rimettervi l'anima di tutti gli uomini redenti. Su di essi, per eccesso di misericordia, effuse, dopo morto, le ultime stille di sangue del suo Cuore, trapassato dalla lancia, e l'acqua del suo pericardio, che santificava in perpetuo l'acqua che li avrebbe rigenerati.
Maria visse, nel suo immenso dolore questo mistero di amore, e con Gesù che inneggiava a Dio immolandosi, cantò, lacrimando, la potenza di quelle braccia crocifisse, che nell'estrema umiliazione del dolore, vincevano l'orgogliosa tracotanza del peccato, e, lacrimando, esaltava quei piedi trapassati, che lo innalzavano come su di un trono di spasimi, esaltava la potenza del suo regno di amore che, nell'umiliazione abbatteva i troni dei potenti del mondo, opposti alla regale sovranità di Dio: Operò nella potenza del suo braccio, disperse i superbi nei disegni della loro mente orgogliosa, depose i potenti dal loro trono, ed esaltò gli umili.
Maria magnificò la ricchezza della fonte che si apriva dal Cuore squarciato del Figlio suo, esaltando nel Sangue e nell'acqua che ne scaturì, l'Eucaristia, sazietà degli affamati di Dio, ed il Battesimo, purificazione che generava la Chiesa moltiplicando i figli suoi, nella unità del suo Corpo mistico, lasciando nel vuoto della loro miseria quelli che si credevano ricchi di sapienza e di civiltà, il mondo, misera e turbolenta moltitudine di perdizione: Satollò di beni quelli che avevano fame di giustizia, e lasciò vuoti quelli che si credevano ricchi.
Sulla Croce si compì il mistero della misericordia di Dio preannunziato nell'Eden; dalla Croce Gesù formò il suo popolo eletto, il vero Israele, per la Croce Gesù compì le promesse fatte ad Abramo ed alla sua discendenza nei secoli, discendenza di grazia e di amorosa dedizione a Dio: la Chiesa Cattolica. Israele ed Abramo erano una figura, un'ombra profetica del Redentore, e sul Calvario l'ombra diventò realtà ed amore: un albero col frutto sanguinante, che era il secondo Adamo, Gesù. Una donna che aveva colto il frutto dal Cielo, per opera dello Spirito Santo, e lo aveva vivificato con la sua vita materna. Il frutto era maturato sul Calvario, e Maria l'aveva colto nel suo immenso dolore. Era Maria la novella Eva; Essa, nel dolore divenne vera madre di tutti i viventi in Gesù e per Gesù, espiando il diletto della prima Eva, che cadde perché tentata dalla bellezza e dal pregustato sapore del frutto. Sul Calvario c'era anche il serpente infernale, sconfitto dal sacrificio di Gesù, schiacciato nel suo capo orgoglioso dall'umiltà di Maria. Per questo Maria, nel suo cuore addolorato chiuse il suo intimo canto lacrimoso, come lo chiuse esultando innanzi a S. Elisabetta, quando il mistero di amore di un Dio che si donava al mondo, era cominciato nel suo immacolato seno: Ricevette Israele suo figliolo e suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come l'aveva annunziata ai Patriarchi, ad Abramo ed alla sua discendenza nei secoli.
Innanzi a questo mistero di dedizione e di amorosa immolazione, chi non crede ai meriti ineffabili di Maria? S. Elisabetta la elogiò perché aveva creduto all'Arcangelo, e la sua fede fu un grande merito. Ma sul Calvario la sua fede fu di un merito maggiore, perché Essa credette e sperò contro ogni speranza umana, più che Abramo, e tra i tormenti del suo Figliolo e lo spasimo della sua morte, fu l'unica creatura che credette al suo regno ed alla sua resurrezione. Lo vide risorto, lo vide ascendere al Cielo, e l'amor suo lo traeva appresso di Lui in un desiderio immenso, ma accettò di rimanere sulla terra ancora lunghi anni, per assistere la Chiesa nascente. Se per noi la morte di una persona cara lascia deserta la vita, per Maria il rimanere sulla terra fu un'immolazione di amore immensamente meritoria.
Con la sua preghiera attrasse sulla Chiesa lo Spirito Santo; con la sua preghiera e la sua materna assistenza sostenne gli Apostoli nella loro missione. E giunse a tarda età, circa 74 anni, non invecchiata ma spiritualizzata dal suo amore, spiccando il suo volo al Paradiso in anima e corpo, assunta dall'amore del suo Figliolo.

(continua)

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