“They keep coming: savage brown-skinned poors. Across the custom checkpoints in San Diego between rack of cars on our freeways. They hang their laundry out of window, they do jobs white people are too cool to do themselves. I don’t care if it starts a race war, I don’t care if it brings everyone picked out of the class and gets every brown-skinned savage beaten out on the street. Who cares as long as I, Pete Wilson, am governor and president?“
Pasame ese cuerno de chivo! Le voci roche e gutturali di due messicani interrompono il discorso (fittizio) di Pete Wilson, il governatore repubblicano della California che negli anni ’90, con la Proposition 187, impose una stretta contro l’immigrazione clandestina proveniente dallo Stato confinante. Il “cuerno de chivo” (letteralmente: corno di caprone) è l’AK 47 che, con una sventagliata, interromperà brutalmente il comizio. Spari e urla lasciano spazio a un mid-tempo grasso e tagliente. Per me, come per molti altri, fu questo il primo impatto con il folle mondo dei Brujeria. Il progetto esisteva già da cinque anni. A fare rumore nell’underground non era stato tanto il grind feroce e primordiale di Matando Gueros, il debutto sulla lunga distanza uscito l’anno prima su Roadrunner, ma le leggende urbane che circolavano intorno all’ancora misteriosa formazione. L’impianto grafico a base di raccapriccianti fotografie di teste mozzate e corpi squartati (nulla che non si possa trovare con facilità sulle prime pagine delle famigerate testate real crime messicane, come Alarma!) e un immaginario delirante dove alla celebrazione della cocaina e dell’identità messicana si accompagnava quella di Satana e della rivolta zapatista nel Chiapas avevano lasciato supporre a molti che dietro i Brujeria si celasse davvero un’accolita di pericolosi spacciatori che nei ritagli di tempo si dedicava ai sacrifici umani e alla lotta armata. Si diffondono voci incontrollate che vogliono Fidel Castro e il subcomandante Marcos tra gli estimatori illustri del gruppo.
Quando uscì Raza Odiada, in realtà, la gimmick si stava già esaurendo e, leggendo la lista dei ringraziamenti, non era difficile evincere chi si nascondesse dietro minacciosi pseudonimi come Asesino, Greñudo, Guero Sin Fe e Hongo, rispettivamente Dino Cazares e Raymond Herrera dei Fear Factory, Bill Gould dei Faith No More e Shane Embury dei Napalm Death. Di costoro solo quest’ultimo fa ancora parte della pantomima un po’ ridicola che sono diventati i Brujeria oggi, insieme ai cantanti Juan Brujo, enigmatico tipaccio di Tijuana che – pare – si guadagnerebbe da vivere sul serio con attività poco trasparenti, e Fantasma, al secolo Pat Hoed, Dj, commentatore di wrestling e musicista a tempo perso. Il disco, però, è talmente riuscito da consentire ancora quella sospensione di incredulità necessaria per goderselo davvero.
Dai pezzi, fulminanti e sanguinosi come coltellate ben assestate, ai testi, dove comunismo fa rima con satanismo, è tutto perfetto. Proprio perché i passamontagna sfoggiati nelle foto promozionali non sarebbero stati presto più in grado di mascherare la loro identità, i Brujeria alzano al massimo la posta dal punto di vista musicale. Matando Gueros era un cazzeggio tanto elaborato concettualmente quanto tirato via nei contenuti sonori. Raza Odiada fa dannatamente sul serio. Il suono non è più grezzo e caotico, come poteva essere quello di un vero gruppo grind latinoamericano degli anni ’90. Chitarre affilate, batteria precisissima, brani costruiti alla perfezione: Raza Odiada rimastica e sputa tutto il meglio del rock estremo americano dell’epoca. Ci sono il groove chirurgico e i suoni pesanti e ribassati di quella nuova generazione che aveva proprio i Fear Factory tra i suoi portabandiera, c’è il death metal, ci sono il crust e l’hardcore, il tutto al servizio di liriche dove orge sataniche e massacri indiscriminati ai danni degli odiati gabachos si mescolano a esagitati inni alla droga (Consejos Narcos) e le icone di Emiliano Zapata e il subcomandante Marcos, ritratto in copertina, vengono accostate a quella di Pablo Escobar, al quale è dedicata l’indimenticabile laudatio funebris di El Patron. In tempi come quelli attuali, oppressi da uno sconfortante puritanesimo di ritorno, un’operazione del genere sarebbe improponibile, e non solo perché il conto delle vittime della guerra tra i narcos e lo Stato messicano ha raggiunto proporzioni tali da far passare a chiunque la voglia di scherzarci sopra.Il successo di Raza Odiada è trasversale e supera ogni attesa. I membri del gruppo si rifiutano di esibirsi dal vivo e in Messico iniziano a girare cover band che si spacciano per l’originale. I ripetuti passaggi nelle radio locali di ameni singoli come Don Quixote Marijuana e Marijuana, parodia della pestilenziale Macarena, attirano sui Brujeria l’attenzione dei media generalisti. È il momento esatto in cui il giocattolo si rompe. Nel 2000 uscirà un altro disco, Brujerizmo, brutto e inutile ma nondimeno baciato da una discreta fortuna commerciale. Prima Gould, poi Herrera e Cazares (il quale riprenderà in qualche modo il discorso con gli Asesino) si sfilano dal progetto, che inizia ad andare in tournée con una formazione a porte girevoli dove passa più o meno chiunque, da Jeff Walker ad Adrian Erlandsson (!), che compongono l’attuale sezione ritmica. Le performance sono tutt’altro che memorabili. Juan Brujo e Fantasma dal vivo deludono e gli altri non danno mai l’aria di crederci. Entro quest’anno dovrebbe vedere la luce un nuovo full di inediti, il primo in 15 anni. Non se ne sente assolutamente il bisogno. (Ciccio Russo)