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Avere vent’anni: EVOL – The Saga of the Horned King (raccontato da Giordano Bruno/ Prince of Agony)

Creato il 24 settembre 2015 da Cicciorusso

evol_thesagaofthehornedkingSi è trattata di una vera e propria evocazione operata nei miei confronti, questa, durata mesi, da parte del caro compagno di cammino Antonio. Non è stato facile convincermi a scrivere queste poche righe in occasione del ventennale del primo studio album degli EVOL, The Saga of the Horned King (1995). Non è stato facile, in quanto, da parecchi anni ormai, è diventato sempre più difficile per me scrivere, esternare, rendere pubblico un pensiero tortuoso, stanco, sofferente.

Principiando la mia testimonianza da qualche anno dopo la pubblicazione di The Saga of the Horned King, ricordo che nel 1999 decisi di porre fine all’esperienza EVOL perché sentivo concluso e compiuto quel cammino. Un cammino necessariamente circolare, che poco dipese dalla mia volontà. Quel che voleva dirsi, si disse. Portraits (1999), l’ultimo album, segna la sintesi del messaggio. Portraits, in pochissime e insufficienti parole, è l’inveramento e il compimento di una fede nella quale si saldano oscurità e luce, nichilismo e utopia. Una fede sorretta dall’immaginazione, la quale mi condusse, attraverso le porte del sogno e della fantasia, alla creazione di un universo da me interamente concepito. Procedendo a ritroso, il secondo album, Dreamquest (1996), rappresenta l’antitesi, ossia l’oggettivazione utopica del viaggio onirico al di là di fede e ragione, la negazione dell’esistente a favore di un orizzonte mutuato dalle composizioni di H. P. Lovecraft. Conseguentemente, The Saga of the Horned King pone la tesi iniziale, la fede immediata, bruta e rozza nell’oscurità caotica, distruttiva e cieca. Questo album è il primo passo del cammino, un inizio contestualizzato nella cultura più prossima alle nostre esperienze esistenziali, ossia quella giudaico-cristiana. L’intera trilogia non può che attorcigliarsi, all’interno di una relazione dialettica polemica ma indissolubile, alla cultura occidentale del cristianesimo e a ogni altro sapere ad essa legato.

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The Saga of the Horned King è, dunque, materia autenticamente viscerale: grezza e istintiva, ma anche profondamente vissuta e intima alla giovinezza degli autori, essa erompe dalla recondita essenza di alcune anime insoddisfatte e disadattate, curiose e intraprendenti. A quel tempo, l’istinto prendeva il sopravvento sulla ragione. Sentimenti quali rabbia, odio, insofferenza, impazienza erano in primo piano all’interno delle nostre vite. Note e parole sgorgavano libere e prepotenti. E dietro di esse, tanta speranza. Speranza in un mondo vero, del quale l’essere umano diventa eroe, guida, testimone e principe. Un mondo di speranza ancora confusamente mescolata ad esigenze di fede. Eppure, in tale materia bruta, i semi di una consapevolezza più profonda erano ben piantati. Semi che avrebbero germogliato nei lavori successivi, per poi sbocciare nell’ultima opera. Nel corso degli anni, la speranza si è fatta sempre più possente: inizialmente, ho immaginato, sognato e creato quei mondi che, successivamente, ho popolato con anime nobili e volgari, in vicendevole rapporto esistenziale.

Il contesto sociale e artistico nel quale The Saga of the Horned King si è sviluppato era aurorale, fecondo, e traboccante di energie creative. Il panorama musicale del black metal era sorprendentemente vivo, popolato da giovani artisti che partorivano lavori eccelsi. Voglio ricordare, tra gli altri, i Rotting Christ di Passage to Arcturo e Thy Mighty Contract, i Samael di Worship Him e Blood Ritual, gli Impaled Nazarene di Tol Cormpt Norz Norz Norz e Ugra-Karma, i Moonspell di Under the Moonspell, i Burzum di Burzum e Aske; e poi gli italiani Mortuary Drape, Opera IX, Necromass… Impossibile qui ricordarli tutti, ma l’atmosfera generale era dominata da una grande spinta creativa, alimentata da una fortissima speranza e da una notevole dose di nichilismo. La fiamma dell’ispirazione artistica, per sua natura strettamente legata alla giovinezza, è vitalità pura e libera, ma è anche croce portatrice di dolore e distruzione. È bene, a questo punto, rammentare che ogni cammino è sempre un ritorno e, dunque, sempre Nostalgia. Il ritorno è un procedere verso una fine, un avanzare doloroso verso un tramonto. Non a caso, questo scritto non poteva che essere intrinsecamente nostalgico, come ogni ricordo.

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In Portraits fede e ragione, oscurità e luce, si saldano in un orizzonte superiore, laddove il particolare sentiero di EVOL incontra il proprio termine. Ma la Strada Verso Casa procede, e sospinge chi la percorre sempre di più verso il margine. Un confine che segna la risoluzione di ogni ragione e di ogni fede. Nell’approssimarsi di tale compimento, riusciamo a gettare uno sguardo al di là, e quel che riportiamo indietro è, passo dopo passo, sempre più glaciale. La fede crolla, la ragione annichilisce. Riconosciamo l’illusione consolatoria delle fedi, comprendendo quanto esse siano necessarie alla sopravvivenza dell’ente perché, proprio grazie alla fede, esso si dispone alla vita. L’ente si fa così deliberatamente schiavo della propria natura e della Natura in generale. L’ente si offre volontariamente alla vita convincendosi di un proprio fine, di un proprio valore: tale è la piccola illusione dell’individuo. Ma la Grande Illusione, che attraverso EVOL ho voluto rivelare, è quella che carica di senso l’essere umano e lo pone al centro del cosmo, spingendo l’ente a perpetuare la propria illusione attraverso la catena delle generazioni. L’ente, o l’essere-per-la-morte, si illude della propria immortalità, scaricando il problema su chi segue. L’uomo riempie il proprio vuoto generando altro uomo e trasmettendo al nuovo venuto il tragico fardello: il confine di specie non si raggiunge mai e si procede di illusione in illusione.

The Saga of the Horned King, così come tutta l’esperienza EVOL, probabilmente in modo impreciso e confuso, rappresenta un primo passo verso una più alta e disperata consapevolezza della marginalità dell’umano. Paradossalmente, creando universi, si è voluto mostrare quanto questo nostro mondo sia illusorio. E la fine di EVOL ci insegna che, raggiunto un confine, ciò che giace oltre, necessariamente, è altro. Ci si può fermare su quella sottile linea oppure si può eroicamente varcare la soglia, magari sospinti da un dolce vento alle spalle. Le vent se lève!, scriveva Paul Valéry. Purtroppo, però, il seguito appare ben più tragico di ciò che il poeta sembrava suggerire, in quanto ogni tentativo alla vita sembra essere marchiato dalla maledizione della Vanità (Giordano Bruno).

Un sentito ringraziamento ad Antonio per aver raccolto questa testimonianza (Ciccio Russo).



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