Ho scoperto i Rage vent’anni fa con questo disco e ci sono andato fuori di testa. Che anno il 1995, signori miei. Rage, Gamma Ray, Iced Earth, giusto per nominare alcuni gruppi tutti usciti con dischi della Madonna che o hanno fatto epoca o poco ci manca. Come nel caso di questo Black In Mind, che magari epoca proprio non l’avrà fatta ma appunto poco ci manca. Pensate, tanto mi piacque questo disco che da lì ricostruii a ritroso tutta la discografia di Peavy Wagner e compagnia, i quali, pur avendo appena passato il periodo d’oro della formazione a tre con quell’altro mezzo genio di Manni Schimdt alla chitarra (culminato con The Missing Link), all’epoca erano ancora in pieno stato di grazia, oltre che freschi dell’ingresso in formazione di Sven Fischer e Spiros Efhtimiadis (fratello del batterista Chris) a sostituire il mezzo genio di cui sopra.
Ed erano tanto ispirati che tirarono fuori un capolavoro incredibile di potenza e melodia che a distanza di vent’anni suona fresco, attuale e potentissimo come ieri. Peraltro è piuttosto incredibile come un disco di quattro lustri fa si senta meglio di quelli odierni, e parlo proprio di produzione, di bontà del suono, non di qualità intrinseca dei pezzi; ed infatti la produzione degli ultimi dischi dei Rage è firmata, come nel caso dei Blind Guardian e degli Helloween tanto per nominarne un paio, da Charlie Bauerfiend, giusto per confermare la tesi secondo la quale a ‘sto stronzo dovrebbe essere vietato per legge di avvicinarsi a meno di cento chilometri da un qualsiasi studio di registrazione (o vedersi tagliate mani e orecchie, alternativamente).
Potenza e melodia, dicevamo. Facciamo un esempio: ascoltate The Crawling Chaos. Un pezzo semplice, tipico mid-tempo quadrato, teutonico, che non sembra nulla di che ma poi ad un certo punto fiorisce letteralmente in un ritornello fantastico, bellissimo e liricissimo, che ti fa saltare sulla sedia e premere il bottone indietro del lettore non appena finisce perché ne vuoi ancora e ancora e ancora. E adesso immaginate lo stesso identico esito per tutti – e dico tutti – i pezzi di questo disco. Tutti eh, bonus tracks incluse. Non troverete riempitivi qui, niente cali di tensione, è tutto un capolavoro dall’inizio alla fine, sia i pezzi veloci (Sent By The Devil, Start!, Black In Mind), sia i pezzi più lenti (All This Time, Alive But Dead), quelli metà e metà (Forever, Shadow Out Of Time), qua c’è di tutto e tutto assolutamente di qualità eccelsa, a partire dalla voce di Peavy Wagner, graffiante come non mai (e come mai più, purtroppo), per finire con la batteria di Chris Efhtimiadis, essenziale e per certi versi quasi punk in taluni frangenti, tremendamente efficace e affatto stereotipata.
Se vi piacciono i Rage e non avete mai sentito sto disco, è ora di rimediare e di corsa, perché è un po’ come se vi piacessero gli Iron Maiden pur non avendo mai ascoltato Piece Of Mind, tanto per dire. O forse vi piace il power/speed metal e non conoscete i Rage se non per gli ultimi cd? Nel caso date retta e me: è proprio ora di scoprire questo disco, perché, per quanto piacevole in alcune cose l’ultima parte di carriera dei nostri possa essere, non ha nulla a che fare con lo stesso gruppo di vent’anni e più fa. Che poi, in effetti, non è manco lo stesso gruppo. Adesso neanche esistono più, c’è Peavy che dopo la scissione con Victor Smolski (meno male) va in giro a fare concerti e festival con i vecchi Manni Schmidt (sembra mia nonna) e Chris Efhtimiadis, proponendo il vecchio repertorio dei Rage sotto il nome Refuge. Spero tirino fuori del materiale nuovo, prima o poi. Magari spaccherebbe, chissà. Intanto ascoltiamoci Black In Mind, che male non fa. Anzi fa solo bene, nonostante il concreto rischio di rimanerci incollati per un mucchio di tempo (o forse proprio per quello). (Cesare Carrozzi)