Dopo la morte di Kurt Cobain per un certo tipo di alternative rock americano comincia una fase di riflusso; la sua escrescenza più evidente, il cosiddetto “grunge”, diviene un canone di sound e vestiario. Perdendo progressivamente forza e comunicatività, il genere comincia a ritirarsi nella dimensione da cui era venuto. Nell’area del rock mainstream si crea uno spazio vuoto che viene in breve tempo coperto da quel punk-pop molto accessibile di album quali Dookie e Smash. La tendenza sembra continuare anche l’anno seguente in cui tra le altre cose escono i dischi più riusciti di NOFX e Rancid. In generale il quadro per il rockettino melodico è estremamente florido, i Foo Fighters fanno il loro esordio e dietro l’angolo sta per esplodere il britpop anche al di fuori dai confini della madrepatria. Di questo clima avevano beneficiato anche i Therapy? che con un album come Troublegum, perfettamente inserito nello spirito del tempo (ritornelli + chitarre), erano riusciti ad uscire dall’area strettamente indie grazie ad un disco che oggi si attesta ad oltre un milione di copie vendute. La band nel febbraio del 1995 entra in studio per registrare il seguito del proprio bestseller e nei primi giorni di giugno sugli scaffali fa la sua comparsa Infernal Love.
Ad un primo ascolto la band è quasi irriconoscibile, un cambio di direzione brusco che in un primo momento lascia la fanbase piuttosto insoddisfatta. Ricordo un numero di Kerrang! in cui nell’angolo della posta, un lettore inferocito accusava Cairns di essersi bevuto il cervello e conclude il suo lungo sproloquio con un caustico “I hope you’re happy”. In realtà non si trattava del primo cambiamento drastico (già da Nurse c’era stato un bel salto) e non sarebbe stato neanche l’ultimo ma di sicuro fu il più traumatico. Io, come tutti, dopo aver ascoltato l’album per la prima volta rimasi completamente spiazzato. Il disco si apre con Epilepsy ed è quasi una dichiarazione di intenti. Il pezzo esplicita fin da subito la volontà di distanziarsi da tutto ciò che era lecito aspettarsi: la struttura è inusuale, la linea vocale è a tratti dissonante, non c’è neanche un chorus vero e proprio. I primi ascolti sono una disperata ricerca di qualche contiguità con il passato recente. Tranne qualche episodio (Loose, Misery), fatico a trovare quello che cercavo. Non è che mi aspettassi di ascoltare i Beach Boys ma in Troublegum le tematiche personali negative erano in qualche modo sublimate nell’elettricità, nel movimento e in hooks molto orecchiabili. Qui invece l’atmosfera è nefasta, molti pezzi sono rallentati e c’è questa viola elettrica onnipresente che dipinge tutto di un nero plumbeo. L’album ha cominciato a funzionare nella mia testa solo nel momento in cui ho smesso di cercare quello che non c’era e ho cominciato ad ascoltarlo per quello che invece è.
Infernal Love è una cupa elegia dell’amore che diventa aceto, un lavoro di auto analisi che parte dalla rabbia (Stories) e progressivamente si fa riflessione e introspezione (Moment Of Clarity). Una sorta di processo di espiazione che trova il proprio climax emozionale nel desiderio di sonno eterno di Me Vs You. Non c’è nulla di consolatorio, nessuna assoluzione per nessuno, tantomeno per te stesso. Solo il finale regala un timido raggio di luce, insperato quanto essenziale. “There is a light at the end of the tunnel” viene ripetuto in maniera ossessiva sul finale di 30 Seconds (ne ho contate 49 ripetizioni in sequenza) ma sembra più un mantra in cui dover avere fede, una formula di rosario a cui affidarsi, è un esorcismo privato più che una convinzione razionale.
Qualche tempo fa in relazione ad un altro disco si parlava di “album officinali”; il riferimento (chiaro solo a me stesso) era diretto proprio ad Infernal Love. Molto più di semplice intrattenimento in stereofonia. Questo album mi ha trovato in un momento particolare ed è stato compagno primario nel processo di elaborazione di una perdita, divenendo poi un pezzo essenziale della mia educazione sentimentale. Essere influenzati dalla musica che si ascolta è una faccenda abbastanza normale, ma con Infernal Love per me questa interazione fa un salto di qualità e i due piani vanno a confondersi completamente. Determinate mie convinzioni tipo “happy people have no stories” e un certo modo che ho avuto di relazionarmi alle ragazze devono più a questo album che a situazioni vissute in prima persona. Perché alla fine io tutto quello che so l’ho imparato dai dischi. Essere adolescenti è una vera merda e non c’è nulla che rimpianga di quel periodo, l’unica cosa che mi manca davvero sono i pomeriggi passati sul letto ad ascoltare la musica. Se ripenso al ’95 ancora oggi lo considero l’anno peggiore dal punto di vista personale e il migliore dal punto di vista delle uscite discografiche, alla fine il perché di questa cosa è tutto racchiuso nei 48 minuti e 44 secondi di Infernal Love.