Presentiamo un articolo tratto dal quotidiano Libero, non perché abbiamo qualcosa in comune, ma per capire come anni di destabilizzazione siano riusciti a creare quegli archi di crisi che erano l’obiettivo della strategia Usa. Nella tensione e nel caos è possibile creare quel Grande Medio Oriente che da Washington si vagheggia da anni?
Stati Uniti e Unione Europea sono in imbarazzo di fronte all’evoluzione medio-orientale, ma effettivamente il caos è ormai tale che gli stessi governi dell’area sembrano aver perso ogni coerenza. In caso di caos, una regola aurea è sempre quella: il nemico del mio nemico è mio amico. E così, prima in chiave anti-Saddam, poi anti-Usa e anti-Israele e pro-Hezbollah si è forgiata ad esempio l’intesa tra il regime teocratico iraniano e quello in teoria laico del Baath siriano: in pratica però egemonizzato dalla minoranza alawita, che in senso stretto non è sciita, ma ha deciso di assimilarsi agli sciiti in chiave antisunnita. Ma chi è il “nemico del mio nemico” in quel che sta accadendo in Egitto? Imilitari laici, garanti della paceconIsraele? O i Fratelli Musulmani, sostenitori dei ribelli siriani? Evidentemente i governi di Damasco non sono riusciti a mettersi d’accordo, e forse è ricicciato in loro il fondo ideologico che veniva prima dell’alleanza di convenienza. Il regime laico emilitare baathista, dunque, ha finito per schierarsi con i militari egiziani: forse più ancora per solidarietà tra militari laici e autocratici, che nella speranza che venga meno un appoggio importante ai ribelli siriani. Il regime sciita iraniano, invece, appoggia gli islamisti di Morsi, ancorché sunniti. La posizione iraniana, per Bashar Assad e per Morsi, è asimmetrica in modo spettacolare. Ma poiché il grande avversario teologico prima ancora che politico o strategico della repubblica sciita dell’Iran è la monarchia wahabita e sunnita dell’Arabia Saudita, ecco dunque che Riad ha preso la posizione asimmetrica esattamente opposta a quella di Teheran: per i ribelli siriani contro Bashar Assad, e al contempo per i militari egiziani contro iFratelli Musulmani. Gli uni e gli altri generosamente riforniti dal punto di vista finanziario. La cosa è resa ancorapiù complicata dal fatto che fino al 1990 i Fratelli Musulmani, in origine un’organizzazione puramente egiziana, accrebbero la loro influenza in tutto il mondo arabo proprio grazie al generoso appoggio saudita. Ma nel 1990 al momento della guerra del Kuwait i Fratelli si schierarono con Saddam Hussein: non perché simpatizzassero troppo per lui, in realtà, ma in contrapposizione alla presenza di truppe occidentali nel suolo “santo” dell’Arabia, chiamate dalla dinastia saudita per impedire al raìs iracheno di mettere le mani sopra al petrolio del Golfo Persico. E Riad quel mensionare le ambizioni dell’as – se Ankara-Doha. Erdogan, che l’appoggio alla ribellione siriana aveva però portato dal dialogo con l’Iran allo scontro, sta ancora su queste posizioni, anche perché vede nella coalizione piazza laica-militari che ha esautorato Morsi un inquietante anteprima di possibili sviluppi nella Turchia stessa, a partire dalla protesta sul Gezi Park. In Qatar, invece, l’av – vicendamento dinastico di giugno tra lo sceicco Hamad Ben Khalifa al-Thani e il figlioTamim ha portato anche alla sostituzione al ministero degli Esteri dello sceicco Hamad Ben-Jabr al-Thani, grande regista dell’espansio – nismo dell’emirato. E da allora il Qatar ha attenuato di molto il suo impegno politico, anche se ha continuato la sua espansione finanziaria. Non è ancora chiaro se ci siano state pressioni dei sauditi odi altri vicini,ose sia stata la dinastia qatarina a decidere da sola che lo sforzo “imperiale” del piccolo Stato era ormai insostenibile ed era arrivato il momento di un ridimensionamento. A ogni modo in Egitto il Qatar a un certo punto si è tirato da parte in un modo che la lasciato Morsi solo. Erdogan ha pure accusato Israele di essere dietro all’azione che ha deposto Morsi. Detto così è probabilmente eccessivo: ma è evidente che se Israele non ha ancora deciso se in Siria il male minore sonoi ribelli o Bashar Assad, in compenso in Egitto preferisce nettamente i militari. E ciò è un motivo di ravvicinamento con l’Autorità Nazionale Palestinese, mentre Hamas ha perso in Morsi un importante interlocutore. Poi c’è il Sudan: pro-Morsi, e pro-ribelli siriani, cui stamandando armi. L’Algeria: appoggia i militari egiziani, vedendo nella loro azione la replica del golpe con cui nel 1992 i militari algerini impedirono di andare al potere agli islamisti locali. Il Marocco: esitante tra l’atteggiamento promilitari del re e quello di un governo diretto da un Partito Giustizia e Sviluppo ideologicamente affine ai Fratelli. La Tunisia: dove il governo guidato dagli islamisti di Ennadha ha accettato il dialogo con i lici proprio nel timore di uno sbocco all’egiziana.
LIBERO – Maurizio Stefanini : ” Babele islamica “