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I servizi sociali le impongono di portare il figlio a scuola e lei suo malgrado deve accettare.
La sua smania di controllare il figlio si spinge al punto che in un negozio di elettrodomestici compra un "babycall" che permette di controllare i rumori che fa un bambino a distanza .
Il problema è che comincia a sentire voci provenire dal piccolo walkie talkie.
Interferenze probabilmente come le dice l'addetto del negozio in cui lo ha acquistato.
Oppure fantasmi di un passato inconfessabile che sta riaffiorando in una psiche devastata.
Babycall è un thriller con venature horror che non nasconde le sue ambizioni autoriali : la fotografia che privilegia i toni insaturi rende tutto tendente al grigio, la messa in scena spartana, il senso di alienazione che traspira dagli ambienti, il senso di oppressione degli sfondi urbani, perlopiù anonime periferie, creano una sorta di cortocircuito con tutto il malestrom che si agita nella mente di Anna.
Ben presto diventa chiaro che nel mondo di Anna è impossibile distinguere realtà dall'immaginazione e anche la frequentazione con il mansueto Helge non migliora certo la situazione.
Sono due individui affetti da solitudine perniciosa e forse per questo si intendono.
Almeno così sembra.
E' però la mente di Anna la chiave di tutto, la sua paranoia ossessivo /compulsiva diventa sempre più grave , lei sembra essere pienamente consapevole dei suoi problemi e cerca di combattere con tutte le sue forse la negatività che sente dentro e fuori di sè.
Il film di Pal Sleutane funziona per buona parte della sua durata perchè riesce a mantenere una tensione costante legata alla nevrilità di Anna e alle sue ansie che la condizionano pesantemente.
E' umano empatizzare una madre sfuggita a un marito violento, è normale indentificarsi nella paure di una donna sola che ha come unico appiglio un figlio da crescere e da amare con tutta se stessa.
Il problema è che nel finale, nel tentativo estremo di svincolarsi dalle logiche del cinema di genere, il copione inanella una serie di colpi di scena che lasciano abbastanza perplessi.
Sleutane non è chirurgico come lo Shyamalan dei primi film e appena partiti i titoli di coda viene il sospetto di essere stati in qualche modo ingannati e anche in modo abbastanza disonesto.
Per non parlare dei coni d'ombra lasciati da alcuni interrogativi che rimangono in sospeso ( a cui non si può accennare per spoilerare).
Se molto spesso è positivo non essere sottoposto a estenuanti spiegoni finali, in un film come questo che alla luce del finale costringe a ripercorrere mentalmente tutto quanto visto nei novanta minuti precedenti, è necessaria una precisione cronometrica affinchè tutto fili perfettamente.
Purtroppo Babycall non dà questa impressione, anzi si ha la sensazione che Pal Sleutane mischi le carte in modo anomalo cercando di depistare lo spettatore ( vedi il personaggio del portiere del condominio).
In un film dove tutto è tenuto appositamente sotto le righe ( compresa la recitazione ) risalta una Noomi Rapace intensa , forse anche sovraccarica che ha addirittura vinto per questo film il premio per la migliore attrice alla Festa del Cinema di Roma nel 2011.
Babycall ha tutti i crismi dell'occasione sprecata, probabilmente per eccesso di ambizioni da parte del suo regista e sceneggiatore: affronta tematiche importanti ( la violenza domestica ma anche il disagio sociale che in questi tempi di crisi è sempre più presente al cinema) ma non le sviscera, non va in profondità.
E' il classico film in cui il contenitore vale più del suo contenuto.
( VOTO : 6- / 10 )
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