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Back to Djerba (un anno dopo) 4: L’antico sapore delle cose proibite

Da Fredy73 @FedericaRossi5
Continua da:
Back to Djerba (un anno dopo) 1: Questione di centimetri
Back to Djerba (un anno dopo) 2: Domande inquietanti
Back to Djerba (un anno dopo) 3: Discovering love


Il giorno dopo mi sveglio con il sorriso ebete degli adolescenti in amore. No, chiariamolo qui ed ora: non mi sono innamorata di lui. Ma lì a Djerba, fuori dal mondo, lontana dal lavoro, dalle mie Back to Djerba (un anno dopo) 4: L’antico sapore delle cose proibiteabitudini e dalla mia casa, trovare quelle attenzioni e quel calore umano è stata una fortuna.
Anisso oggi non sarà al villaggio. Poco male. Potrò tornare a fare la turista a caccia di svago. Racconto della mia serata alla signora che mi regala un’altra delle sue perle di saggezza. Alla mia perplessità sul dare seguito a questa storia, mi risponde serafica “almeno passi il tempo”. Io, però, ancora non mi sento sentimentalmente legata a lui (e ci mancherebbe). Anche perché sospetto sempre che questo suo amore nei miei confronti sia un po' troppo interessato. Così in serata testo il mio livello di impegno. In effetti incontro un tale, francese, che vorrebbe attaccare bottone, per non dire altro. E’ giovane. Troppo giovane per me. Anche se è molto carino e simpatico. Parliamo in inglese e quando tento di spiegargli che non posso incontrarmi con lui, mi mancano le parole per dirgli il perché. Cerco di fargli capire che c’è un altro. Lui si vanta promettendo di essere meglio del mio amico (ma cosa gli fa Djerba agli uomini che diventano tutti così espliciti?). Sono tentata. Ma lascio perdere e vado via abbastanza presto. Mentre ritorno al farè, mi chiedo come mai abbia rinunciato a una possibile avventura. La risposta è sconcertante: per educazione. Ebbene sì, credo che avermi chiesto di non vedere altri uomini abbia scatenato in me l’esigenza di tener fede alla parola data. Per correttezza, non perché ci tenga davvero. D’altra parte non c’è futuro per questa storia e ancora non ho avuto il coraggio di chiedergli quanti anni ha, per paura di scoprire che è troppo più giovane di me.
Intanto il giorno dopofaccio un incontro da romanzo d'appendice di serie Z. Ai miei occhi si materializza la massaggiatrice conosciuta l'anno prima. Mi chiama sinceramente contenta. Dopo un paio di minuti, capisco che è peggiorata rispetto allo scorso anno. Evidentemente i farmaci che prende le hanno completamente mandato in pappa il cervello. Non so come o cosa dirle, perché lei si incanta a fissare, ogni tanto, un punto nel vuoto. E' in partenza. Per fortuna, penso io con un misto tra il sollievo e il senso di colpa. Sento che non la rivedrò mai più.
La mia giornata, invece, trascorre tra sguardi e sorrisi a distanza col tunisino. Appena i nostri occhi si incrociano. Quando tra la gente, scorgiamo la sagoma dell’altro. E’ un cercarsi continuo che mi mette in agitazione. Mi dice che gli sono mancata, che vuole portarmi di nuovo fuori. E’ orgoglioso dell’approvazione ricevuta dai suoi amici (e in caso contrario?!?). Mi dice che ho riscosso successo, che non sono come le altre donne perché ho parlato con loro e ballato senza tirarmela e mostrandomi naturale e simpatica. In effetti, quando sono all’estero, cadono quasi tutti i miei schemi mentali, perché di fronte alla possibilità di parlare con persone che abbiano anche solo la lingua diversa dalla mia, mi sembra di diventare una bambina affamata e curiosa di dettagli e informazioni. E in tutti i miei viaggi una cosa l’ho imparata: basta un sorriso per aprire qualsiasi porta e ricevere qualsiasi aiuto. Anche se a Djerba il sorriso è pericoloso. In quel villaggio è un invito esplicito. Ne discuto con la signora e così, per gioco, le faccio una dimostrazione pratica che, ovviamente, riesce. Mi libero dell’incolpevole adescato per andare a farmi una doccia. Alle 11.30 di sera devo incontrarmi con Anisso. Mettiamo in scena la solita recita per il poliziotto del villaggio e poi andiamo via, in taxi, verso altri luoghi. Ci fermiamo prima dal suo migliore amico, quello che parla inglese. Mi saluta con affetto e attacchiamo una delle nostre conversazioni sullo scambio culturale. C’è anche un altro amico che parla benissimo l’italiano. Dopo un po’ – ma me lo aveva chiesto nel pomeriggio – scompare con quest’ultimo per andare a contrattare il prezzo di una camera d’albergo. Più tardi mi spiega che non ha potuto farlo con me perché ha detto al proprietario che sarebbe andato lì con una ragazza tunisina. La cosa è sospetta perché una volta lì, ho dovuto dare il mio italianissimo documento al consierge. L’albergo affaccia sulla discoteca in cui siamo stati due sere prima. La camera è molto grande, ma priva di asciugamani e dalla pulizia approssimativa. Ne abbiamo voglia. Dalla sera prima.
Anzi, dalla prima sera. Quella in cui ci siamo conosciuti e uniti troppo frettolosamente per capire se andava bene ad entrambi. E questa volta abbiamo il letto. Abbiamo il tempo. E abbiamo anche un certo sentimento che sta nascendo. Soprattutto in lui. Che continua a chiamarmi amore. Che mi chiede di tornare in inverno. Che mi prega di continuare a sentirci anche quando sarò tornata in Italia. Decido di chiedergli l’età. Ha quasi nove anni meno di me. Provo a spiegargli che non vedo un futuro. Che viviamo vite diverse. Che ci sarebbero così tanti “che” da perdere il tempo solo ad elencarli. Insomma la mia parte razionale ce la mette tutta per rompere i coglioni. Ma lui respinge ogni mio attacco. Mi dice che dobbiamo almeno provarci per poi decidere di buttare tutto al vento. Vorrei provare, invece, a spiegargli meglio il mio punto di vista. Ma decido di lasciar fare al tempo il suo mestiere. E, intanto, mi lascio cullare dall’antico sapore delle cose proibite. Da quello che la mia mente mi dice di non fare, mentre il cuore si lascia andare.
Resta un solo giorno ormai, prima della mia partenza. Sono stanca, provata dal caldo, dall’assenza del sonno e – udite udite – dal ritorno del problema al mio ginocchio (eccheppalle!!!).
Sarei tentata di salutare prima Anisso e di non uscire con lui anche stasera. Ma alla fine cedo alle sue preghiere di trascorrere almeno un paio di ore insieme. Niente hotel e niente sesso. Una serata tra amici. I suoi, ma ormai anche i miei. Soprattutto il suo migliore amico (l’anglofono) al quale chiedo lumi sulla religione e sul ramadan. Il nostro discorso si sposta anche sull’emigrazione. Lui è consapevole della situazione italiana. Sa che questa non è più la terra promessa. E, ancora più importante, non vuole lasciare la Tunisia, perché vorrebbe contribuire a farla crescere. Mi parla anche della rivoluzione, del voto che ci sarà ad ottobre, degli oltre cento partiti che si sono presentati, dei tre bisogni primari del suo paese (libertà, democrazia, giustizia), della disoccupazione soprattutto per chi è laureato – come lui - o ha una qualifica professionale – come Anisso che, senza raccomandazione, non riesce a farsi rilasciare dal governo una licenza per dedicarsi all’e-commerce e si arrangia facendo il fotografo in un villaggio turistico. Ascolto della Tunisia, ma penso all’Italia e mi accorgo che le cose non sono poi tanto diverse. E’ solo quando usciamo dalla discoteca che avverto per la prima volta l’intransigenza islamica. Un tassista ha visto me e Anisso mentre ci scambiavamo un bacio innocente a fior di labbra in mezzo alla strada. Lo apostrofa con parole dure. Perché siamo in ramadan e, anche se non è orario di digiuno, è impuro giacere con una donna, soprattutto se “infedele” (e, tra l’altro, è solo da poco tempo che non si viene più multati per effusioni in luogo pubblico). Io resto interdetta. Anisso, invece, ha un moto di ribellione o, forse, anche lui ama il sapore antico delle cose proibite e mi bacia platealmente in mezzo alla strada e davanti all’indignato tassista. Per un paio di minuti sembriamo il marinaio e l’infermiera della foto di Alfred Eisenstaedt. Solo che non siamo a Times Square a New York. Siamo in Tunisia. In mezzo al nulla. Con i tassisti che, su minaccia dell’integralista, non vogliono caricarmi a bordo. Ci spostiamo quanto basta per fermare un taxi ignaro dell’accaduto.
E’ l’ultima volta che lo vedo. Sento una certa tristezza accarezzarmi l’anima. Quel tanto che basta per dipingermi sul volto il sorriso della malinconia.
Sto continuando a sentirlo. Tutti i giorni, come promesso. E sempre per educazione.
Ora tocca al tempo giocare le sue carte.

Fine Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso dell’autrice.

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