Oggi si fa un gran parlare di guerra e di terrorismo dopo gli attacchi americani in Siria, non si capisce bene se contro Assad o contro i pezzi dell’Isis foraggiati fino a pochi mesi fa dagli stessi Usa e che anzi,stando a un provvedimento del congresso avrebbero dovuto essere foraggiati fino al 30 settembre ( vedi qui). Probabilmente contro entrambi, nell’ambito di una dottrina che fa del caos e delle sue conseguenze la strategia principe per conservare la supremazia mondiale. Ma questa volta, al contrario di quanto avvenuto nelle campagne irachene e in quella afgana, si ha un brivido sottopelle, come se fosse stato valicato un confine non segnalato, ma egualmente evidente tra conflitto destinati a rimanere localizzato e uno potenzialmente globale, non fosse altro che per le conseguenze dirette sull’Europa, sulla riarticolazione del mondo arabo ( e non mussulmano come viene sostenuto con straordinaria cecità o intollerabile mistificazione dai media), sulla velocità del processo di multi polarizzazione mondiale.
Il tutto rassomiglia drammaticamente agli esiti funesti della prima globalizzazione capitalistica che diede origine alla grande guerra, esattamente un secolo fa: dopo essersi espanse a danno delle colonie, nelle quali erano stati confinati attriti e conflitti, dando pace al continente, alla fine le potenze europee si dovettero scannare fra di loro per supportare la crescita ed evitare i contraccolpi sociali ben visibili all’orizzonte. Purtroppo anche il teatro del scontro di oggi è uno di quelli che nei primi anni del secolo scorso provocò l’accumulo delle polveri e creò le precondizioni dello scontro iniziato poi a seguito di una scintilla del tutto marginale.
Perciò questo post riguarda soprattutto la storia mettendo in luce lo stretto legame tra la regione mesopotamica e la prima guerra mondiale. Non perché la storia si ripeta esattamente, ma per mettere sul chi vive chi creda di essere di fronte all’ennesima, fumosa o pretestuosa guerra al terrorismo. E dunque la vicenda comincia ufficialmente il 5 marzo del 1903 quando il governo tedesco ottiene dall’impero ottomano la concessione per la ferrovia Bagdad (allora sotto il dominio turco) – Istanbul che poi avrebbe dovuto proseguire verso Berlino. Le ragioni erano ovvie: la Germania non aveva accesso al Mediterraneo e a Suez, peraltro sotto controllo inglese, se non attraverso una lunga circumnavigazione dell’Europa per cui già da tempo pensava a un collegamento via terra con l’Asia senza dover passare per la Russia. Una simile linea ferroviaria era costosa e logisticamente ardua perché attraversava per gran parte del suo tragitto terre desertiche e aride, dove la mancanza di acqua e di carbone rendevano problematico l’uso delle locomotive. Ma grazie a finanziamenti della Siemens e di un pool di banche delle quali faceva parte anche la Banca commerciale italiana ( del resto diretta da Otto Joel e posseduta a maggioranza da Deutsche Bank e Dresdner Bank) si trovano i soldi per cominciare i lavori.
Nel 1905 la flotta russa viene sconfitta nello stretto di Tsushima da quella giapponese soprattutto perché le navi dello zar erano stracariche di carbone e manovrano lentamente. Gli esperti delle più importanti marine del pianeta si rendono conto che una proiezione a grande distanza della forza militare richiede un carburante più leggero e gestibile: il petrolio, allora scarso e praticamente usato in maniera massiccia solo negli Usa. La guerra russo giapponese è come la goccia che fa traboccare il vaso e sposta i consumi energetici verso l’oro nero d’altronde più funzionale alla nascente civiltà dell’automobile e dell’aereo.
Nel 1908 viene scoperto uno straordinario giacimento petrolifero a Mosul nel Nord dell’Irak. E a questo punto Francia e Inghilterrra si rendono conto dell’importanza strategica della ferrovia Bagdad – Berlino e cominciarono a fare di tutto per affossare il progetto, organizzando la ribellione araba contro l’impero ottomano e le prime forme di terrorismo. Così si creò un attrito di fondo e non risolvibile con la Francia, ma soprattutto fra Gran Bretagna e Germania le cui famiglie regnanti erano così strettamente imparentate che i due inni nazionali erano bastati sulla medesima musica. E che in un primo tempo avevano tentato una collaborazione all’opera in funzione antirussa. Tutta l’epopea di Lawrence d’Arabia, primo terrorista proveniente dalla gran Bretagna e tutt’altro che ostile alle decapitazioni, testimonia della battaglia che si è svolta attorno a questa opera strategica, ma ancor più lo rappresentano le enormi risorse di uomini e mezzi messi in campo da Inghilterra e Francia contro la Turchia, proprio mentre erano allo stremo delle forze sul fronte occidentale. Uno sforzo apparentemente assurdo condotto su un fronte minore, ma evidentemente ritenuto vitale.
Ancora oggi l’Irak ha il 12 per cento delle residue riserve petrolifere mondiali e forse il 50% di petrolio di buona qualità ed estraibile a basso costo, mentre qualche altro punto percentuale giace di fronte alle coste mediterranee della Siria. Ed è proprio qui che si sta riscatenando la battaglia. Facciamoci molti auguri.