Magazine Cultura
Perchè una volta soli, noi e loro, a fronteggiare la mole di sapere e di esperienze che aspettano di essere conquistati, di tutta la teoria, di tutto il rumoreggiare forte intorno, di come i bambini ci vengono descritti e raccontati, di come sono e non sono, i maestri e le maestre se ne fanno una ragione subito. Coi bambini che girano d'intorno c'è poco tempo per ripensare a teorie, classificazioni, generi d'appartenenza e modi di apprendere.
Tanto se un bambino ha capito lo si capisce dalla faccia. E se non lo ha capito in un modo, si spiega in altro modo, e se le parole non bastano si usano i disegni, se non bastano c'è il pc, via via con pazienza fino a quando non si arriva alla conquista.Di tutto quello che c'è da dire sui bambini c'è da prendere nota se gli piace stare in aula, se partecipano o si annoiano e come ci si comportano.
Io quando mi trovo di fronte ai miei alunni, sinceramente di tutte le classificazioni entro i quali oggi si cerca di catturare l'anima dei bambini per fronteggiare la nostra incapacità di comprenderli, me ne infischio. Quando cerco nei volti le risposte agli stimoli, quando cerco gli sguardi di approvazione, quando cerco mani alzate che chiedono parola e voci che spiegano e raccontano, quando cerco mani che scrivono, io alle loro radici culturali e alla (eventuale) forma mentale non ci penso proprio per nulla. Mi concentro solo nello sforzo di aprire un varco fra me, il contenuto e il bambino, fino alla strada inversa. Il bambino, il contenuto ed io. Cioè il momento in cui il bambino trova le risposte e capisce restituendo.Tutti i bambini sono uguali in aula e tutti diversi nell'apprendere: a ciascuno è destinata una risposta, una spiegazione, un chiarimento, un freno o un incoraggiamento diverso da qualsiasi altro.
Io dei bambini posso dire che quando penso ai nativi digitali mi pare che si parli di un popolo isolato, indigeno che nessuno se lo è mai filato e che nessuno ha mai compreso bene. Ma cosa c'è da capire dei bambini se non il fatto che ci siamo dimenticati di noi stessi bambini? ( O meglio io me lo ricordo bene cosa mi ha ferito e fatto arrabbiare da alunna e cosa ha lasciato in me lacune nelle conoscenze). E quando penso ai nativi penso alla solitudine multimediale (che sempre solitudine è), di un bambino che si perde in rivoli di strade digitali, che mi pare quasi di vederla la fibra ottica e il bambino che ci cammina sopra con in spalla la bisaccia delle esperienze quasi vuota eccetto per alcune radici familiari. E se già è difficilissimo per un adulto, il web, figuriamoci quanto lo è per un bambino che ci passa il tempo per lasciarci il tempo.
E allora in aula dove per fortuna siam tutti fatti di corporeità, di quel corpo e dei suoi gesti ci nutriamo, ci nutriamo di quegli affetti che a tutti è dato recuperare di fronte alla colorata e rumorosa presenza dei bambini, così difficile ma anche così consolatoria per via della comunanza: bambini tra i bambini.
E loro piace di imparare così, mentre dicono "ecco anche lui fa così", "lei fa come me", perchè gli piace rincorrersi in un gioco di imitazioni, fino ad imitare ed emulare le maestre e i maestri se gli vogliono bene. E questo avviene e poco importa dove sei nato, che strade hai percorso, e la scuola Primaria restituisce la vicinanza che la solitudine di questa società parrebbe destinare ai nativi. Perchè sembra che a questi nessuno gli voglia bene, invece in aula succede spesso di volerci bene. © Crescere Creativamente consulta i Credits o contatta l'autrice.
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