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“Bambole viventi” di N. Walter

Da Sulromanzo

Autore: Rossella Martielli

 

Bambole viventi

 

Qualcuno certamente storcerà il naso di fronte all’ennesimo saggio definito piuttosto superficialmente “femminista”, pensando che proprio non ce n’era bisogno, che le donne ormai la fantomatica parità l’hanno raggiunta da un pezzo e che anziché lamentarsi farebbero bene a tirarsi su le maniche e a darsi da fare come gli uomini fanno da sempre. Da attivista “femminista” (metto il termine tra virgolette perché proprio non mi piace, successivamente spiegherò il perché) e da sociologa che si occupa sempre più spesso di questioni femminili, cose del genere me le sento dire quasi ogni giorno.    

Perché in questa nostra società così tecnologica, così veloce e superficiale, dove apparenza e immagine sono l’essenza stessa del potere, reale o presunto che sia, ogni riflessione più profonda è nient’altro che una perdita di tempo, un fastidioso e opportunistico tentativo di sottrarsi all’ininterrotta produzione di merci, di senso, di significati funzionali a un regime capitalista che appunto non tollera perdite di tempo, perché il tempo è denaro, si sa. Il denaro conta, le menate intellettuali – per giunta pseudo-femministe – no. 

Per cui, che bisogno c’è di parlare ancora della condizione femminile? Che bisogno c’è di un altro saggio che in fondo ripete cose già dette? Sgomberando il campo da eventuali dubbi, avendo letto con attenzione il saggio "Bambole viventi" della giornalista e scrittrice inglese Natasha Walter, posso affermare che finora nessun saggio sul genere è stato mai scritto con la stessa chiarezza, e nessuna autrice ha saputo esporre così limpidamente tesi plausibili e al tempo stesso inquietanti, motivandole punto per punto, senza lasciare spazio a speculazioni superflue e a inutili retoriche “femministe”.

A questo punto occorrerebbe forse fare una piccola digressione circa il reale significa del termine “femminismo”, tra i più abusati e spesso fraintesi.  Ormai, infatti, questo termine ha assunto una molteplicità di significati, che vanno da una sorta di teoria sovversiva volta a stravolgere l’ordine sociale fondato sulla subordinazione del sesso femminile a quello maschile, all’idea nazional-popolare delle femministe viste come un gruppo di zitelle inacidite moralizzatrici dei costumi e incapaci di rapportarsi in maniera costruttiva con l’altro sesso. Niente di tutto ciò: se di femminismo si può parlare, quello della Walter (già ampiamente descritto in The new Feminism, opera del 1998, inedita in Italia) si limita ad auspicare una maggiore consapevolezza delle donne, del ruolo che esse vogliono ricoprire nelle società in cui vivono, nonché l’eguaglianza di uomini e donne in ambito lavorativo, economico e sociale, che si traduce in un pari accesso alle opportunità lavorative e pari tutela da parte dello Stato.   

In questo senso si può forse parlare di Bambole viventi come di un saggio di stampo femminista che descrive efficacemente la realtà sociale dei Paesi Occidentali, una realtà che sotto molteplici aspetti, come ad esempio il ruolo ricoperto dalle donne, è sempre più indifferenziata. Lo scenario proposto dalla Walter è sconfortante: ragazze che accettano qualunque tipo di compromesso pur di apparire seminude sulle copertine di giornali destinati a un pubblico maschile, aumento esponenziale di night-club e locali a luci rosse, ma anche di corsi in cui si insegna l’arte dello spogliarello – spesso nella sua variante più raffinata, quella del “Burlesque” – e di “Pole Dance”, danza acrobatica intorno a un palo che nobilita da più famosa “Lap dance” dei locali per soli uomini; e poi l’immaginario pornografico che s’insinua sempre più nella realtà che ci circonda, in televisione, sui giornali, nella pubblicità, fino a plasmare la mentalità collettiva e il modo in cui gli uomini e le donne percepiscono se stessi, un immaginario che detta ruoli sessuali falsi e stereotipati, in cui i giovani vengono ingabbiati fin da giovanissimi, soprattutto le bambine, abituate a considerarsi alla stregua di bambole, condannate a essere carine, magre, sensuali e perfette. Eserciti di fanciulle truccate e imbronciate come le bambole Bratz, vestite come piccole prostitute e abituate ad avere come modelli giovani show-girls che devono la propria fama a scandali sessuali, calendari e flirt – spesso a pagamento – con uomini di (reale) successo. La cosa più inquietante, tuttavia, è come si faccia passare la disinibizione sessuale femminile per una sorta di “nuovo potere della donna”, potere che s’identificherebbe dunque col sesso.   

Ma cosa c’è di potente nell’essere considerate dei meri oggetti sessuali, bambole viventi create per assecondare i desideri e le aspettative altrui? Le donne intervistate dalla Walter sono prostitute o spogliarelliste “per scelta”, nel senso che nessuno le ha costrette a esercitare il mestiere, e ammettono di aver intrapreso queste carriere spinte dalla convinzione comune che avrebbero guadagnato molti soldi e sarebbero state considerate alla stregua di dee, potenti perché desiderate.  

Tutte, indistintamente, si sono poi scontrate con la triste realtà che le vedeva fare lavori non solo estremamente umilianti, ma anche destabilizzanti per la psiche e la capacità di percepire correttamente se stesse e il proprio corpo: abituandosi a un mondo fatti di bassezze e istinti quasi animali, nonché a essere trattate come pezzi di carne, queste donne vedono profondamente minata la propria autostima e la capacità di vivere relazioni “sane”, dove non ci sono vittime né carnefici.   

Quello che distingue il saggio della Walter da molti altri è la consapevolezza che in questo meccanismo perverso anche le donne hanno le loro responsabilità, offrendosi e proponendosi esse stesse come bambole sessuali, talvolta addirittura facendo a gara per esserlo. Tuttavia, afferma la giornalista inglese, il vero problema, oggi come ieri, è che spesso alle giovani donne mancano modelli cui ispirarsi, modelli vincenti di donne il cui successo sta in ciò che sono e in ciò che dicono, non in ciò che mostrano e con chi fanno sesso. Ed è questa la vera sfida del femminismo del futuro, proporre un nuovo ideale femminile che sia realmente libero, emancipato sia dalla figura stereotipata di angelo del focolare che da quella di impenitente mangia-uomini. 


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