Banche Popolari, una rivoluzione,  e non solo per le Banche

Da Pukos

Potrebbe essere una riforma epocale, da parecchio tempo se ne parlava, ma di concreto non si era mai visto nulla, ora, invece, il governo ha agito d’urgenza con un decreto legge, che, come noto, deve essere convertito entro 60 giorni.

Si tratta della trasformazione delle nostre principali Banche Popolari in Spa, con la relativa abolizione del voto capitario.

Cosa fosse il voto capitario è presto detto, è quella norma, caratteristica delle società cooperative e delle banche popolari, prevista nel diritto societario, secondo la quale ogni socio è titolare di un singolo voto indipendentemente dalle quote di capitale possedute.

Ovviamente una norma simile non agevola “scalate” per società di questo tipo, anzi, le preclude, ma era proprio ciò che ci si prefiggeva nel momento in cui era stata introdotta, le Banche Popolari dovevano essere molto ancorate al territorio ed avere un azionariato diffuso.

Orbene, le riforme che si sono succedute negli anni, dovute in massima parte al fatto che abbiamo dovuto adeguarci a normative europee, hanno fatto perdere, di fatto, questo legame col territorio soprattutto ad alcune realtà che hanno così perso la caratteristica peculiarità, per diventare imprese a carattere nazionale.

Ed è proprio a queste realtà che fa riferimento il decreto legge, si tratta di dieci Banche Popolari che hanno dimensioni considerevoli, e precisamente asset superiori agli 8 miliardi di euro, di queste sette Istituti sono quotati in Borsa: Banco Popolare, Ubi Banca, Bper, BpM, Creval, Popolare di Sondrio e Banca Etruria; e tre non quotate: Popolare di Bari e le due venete Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.

Visto che le Banche popolari in Italia sono una settantina, per sessanta di queste, quindi, le cose non cambiano, ma un caso particolare potrebbe essere la Banca Popolare di Vicenza, per la quale vale la pena soffermarci maggiormente per capire quali potrebbero essere gli sviluppi e non solo quelli economici per l’intera Provincia berica.

L’Istituto vicentino è la più grande Banca italiana non quotata, e ciò lo rende già “un caso”. Quest’anno, poi, il Cav. Gianni Zonin festeggerà il suo diciannovesimo anno di presidenza. Ebbene sì, era il 1996 quando l’imprenditore vitivinicolo con il motto “salviamo la vicentinità” guidò la cordata, risultata poi vincente, di coloro che si opponevano alla fusione con la padovana Antonveneta e fu eletto Presidente della Banca.

Da allora è sempre rimasto saldamente in sella, consolidando anno dopo anno un “potere” che va ben al di là dell’Istituto che presiede. Si sa infatti che la Banca, per la città di Vicenza, non è solo una Banca, ma un’istituzione in grado di controllare “tutto ciò che conta”.

Zonin, con il voto capitario non può essere scalzato dalla poltrona più prestigiosa di Viale Btg Framarin, finora era l’unico in grado di portare in assemblea “pullman” di soci, ma se passa il decreto … allora può cambiare tutto! La Banca, come si dice in gergo, diventerebbe “scalabile”.

Qualcuno, con un portafoglio ben fornito naturalmente, potrebbe essere interessato proprio alla poltrona di Zonin. Potrebbe essere un vicentino? Forse, ma sono veramente pochi coloro che hanno disponibilità così ingenti. Potrebbe essere un milanese? Forse, ma in questo caso che fine farebbe “la vicentinità”?

Ed ancora, la Popolare di Vicenza potrebbe diventare una preda per un altro Istituto, magari straniero, al quale possono far gola le oltre 250 filiali sparse in tutta la regione, oppure potrebbe interessare ad un’altra Banca italiana.

Ma c’è un fatto che rende tutto stramaledettamente complicato e che riguarda da vicino tutti gli oltre centomila soci. Visto che la Popolare non è quotata il valore delle azioni è deciso dalla Banca stessa (certo con una perizia giurata del professore della Bocconi, persona autorevolissima e bla bla bla).

Questo fatto ha permesso ai soci di non patire, in questi anni di crisi, il salasso che hanno dovuto subire gli azionisti delle Banche quotate. Dal maggio 2007, infatti, il valore delle quotazioni di Borsa delle Popolari ha subito un vero e proprio tracollo: Banca MPS ha perso il 97%, Banco Popolare il 90%, la Popolare di Milano il 79%, Ubi Banca il 66% e Bper il 65%.

E la Banca Popolare di Vicenza?

Nulla, anzi gli azionisti si sono visti aumentare il prezzo delle proprie azioni che è passato da 60 a 62,5 euro, oltre ad aver incassato dei dividendi. Insomma i vicentini forse non sanno … di essere dei miracolati. Orbene ed ora che succede?

Molti, infatti, ritengono che per una azione della Popolare di Vicenza il prezzo di 62,5 euro sia decisamente “generoso”. Il vero valore della Banca, però, può essere deciso solo dal cosiddetto “mercato”, tutto il resto è opaco, ed allora questo decreto, che obbliga la Popolare di Vicenza a diventare una Spa, potrebbe abbreviare i tempi avere un responso obiettivo.

Ed in quel momento … sapremo la verità.

Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro  


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