BANG BANG
Tutta colpa di un gatto rosso
di Nora M.
CAPITOLO DECIMO
L’idea mi piomba adosso come un ninja, e mi piace. Camilla e il prof, il prof e Camilla. Due individui belli, pieni di sé ed estremamente vanesi. Come non averci pensato prima?
“Cami, mi faresti una grande cortesia? Potresti rimanere ancora una mezz’oretta? Tommaso sta per arrivare e io non voglio assolutamente rimanere sola con lui.”
Le sue pupille si dilatano, come quelle di un gatto che ha visto un topolino appetitoso.
“Ghislandi sta per arrivare?”
“Lui in persona.”
Se la conosco bene ora mi chiede di andare in bagno. Vuole controllare lo stato del suo make up, ma senza sputtanarsi.
“E cosa vuole?” chiede. Ecco che la sua testa comincia a lavorare freneticamente cercando il modo di inserirsi tra me e il prof.
“Non lo so proprio, cosa voglia. Probabilmente angosciarmi con i suoi sensi di colpa.”
Lei mi guarda elaborando chissà cosa in quel suo cervello senz’anima di bancaria.
“Va bene, se ti fa piacere rimango.”
E ti pareva? Come da manuale.
“Grazie, mi fai proprio un piacere.”
“Però ora dovrei fare pipì.”
Ve l’avevo detto, no?
“Accomodati cara, intanto io mi cambio.”
Va in bagno con quella sua enorme borsa al seguito dove tiene tutto il necessario per un incontro ravvicinato del terzo tipo. Io, per amor proprio o spirito di competizione, in ogni caso non voglio fare la figura della suorina di fianco a lei e vado a cambiarmi. Mi vesto d’assalto, con tutte le munizioni necessarie per sparare dove fa male: tacchi alti, minigonna, magliettina minimalista.
Non sono poi tanto male, mi dico mentre mi passo la matita nera negli occhi e un po’ di fard sulle guance.
Suonano alla porta.
“Camilla, vai tu ad aprire per favore?” urlo dalla mia camera.
La immagino ancheggiare. Sono certa che sculetti anche quando è da sola, quella, tanto per non perdere l’abitudine! O forse perché è fatta proprio così.
Sento la porta aprirsi, poi un attimo di silenzio investe la casa. Nella mia testa riecheggiano le note di You’re so vain di Carly Simon, la colonna sonora ideale per l’incontro di quei due anche se, chi fra loro sia il più vain, il più vanesio, mi è difficile dirlo. Nonostante non riesca a vederli, immagino perfettamente la scena: prima di dirsi qualsiasi cosa si scambiano la loro occhiata conquistatrice, the look, si fiutano rispettivamente, cercano di leggere i rispettivi segnali per capire chi, fra i due, sia il vanesio dominante.
Ah! come mi diverto. Dio li fa e poi li accoppia, si dice no? Non che io mi senta Dio per averli messi in grado di accoppiarsi (in ogni senso), ma non posso nascondere che sia stato un vero colpo da maestro.
Sento le loro voci, sono basse, roche. Se non sentissi le parole, potrebbero essere uno scambio di battute bollenti, pre famolo strano. Lui chiede di me. Lei risponde che sto per scendere, di accomodarsi. Sento i suoi tacchi dodici ticchettare sul pavimento: stanno andando in salotto, lui la sta seguendo e so già cosa le sta guardando. Come dargli torto? Camilla è tutta bella, ma il suo
culo è davvero portentoso. Un po’ natura e un po’ palestra. Do un’occhiata al mio, molto più modesto, e alzo le spalle pensando che prima o poi dovrò decidermi a un corso mirato in palestra, di quelli GAG, gambe addome glutei. Ora che ci penso: non avevo comprato anche un corso in dvd su come rimodellarsi? Forse anche due corsi in dvd, che non so assolutamente che fine abbiano fatto.C’è giù il mio ex fidanzato, uno su cui ho sbavato anni, con uno schianto di donna e io penso a come to push my ass up? Insomma, come tirarmi su le chiappe? La cosa mi rende felice, perché vuol dire che del prof proprio non me ne frega più niente. Mi sento libera, allegra e pronta a una piccola vendetta.Scendo piano piano, meschina meschina, per spiarli, sperando che gli scalini non cigolino. Mi avvicino alla porta del salotto e mi fermo ad ascoltare. Camilla ride, una risata bassa, gutturale, sexy. Le avrà fatto un complimento? O il professor Ghislandi avrà dato prova del suo raffinato senso dell’umorismo? In ogni caso, il loro incontro fortuito si sta rivelando alquanto fortunato.
Entro, fingendomi incazzata, tanto per risultare sgradevole. Lui si alza, mi saluta imbarazzato, come se lo avessi beccato a rubare la marmellata. Te la sto regalando io, la marmellata, imbecille!
La marmellata, pardon, Camilla, si alza come una scheggia, per riflesso, nervosa, probabilmente sentendosi in colpa. Non capisce che sono io a spingerla verso il prof, proprio come deve essere perché io possa manovrarla al meglio.
“Tommy –lo chiamo come quando eravamo fidanzati – cosa vuoi?”
Guarda Camilla, invocando un po’ di privacy, forse, o forse per comunicarle qualcosa nel linguaggio segreto dei vanesi.
Lei capisce subito. Sì, doveva proprio essere il linguaggio segreto dei vanesi.
“VI va un caffè?” chiede. Poi si alza e va in cucina. Io sono certa che rimanga dietro alla porta ad origliare. Lui un’occhiatina al culo proprio non riesce ad evitare di dargliela, anche con me davanti. Non che mi interessi, ma penso che sia proprio il re dei senza vergogna.
“Cosa vuoi?” Gli chiedo a bruciapelo sedendomi di fronte a lui, sul divano.
Lui si alza e, come previsto, mi si siede di fianco. Mi guarda a lungo, forse perché non sa cosa dire. Forse perché le pause retoriche sono sempre state uno dei suoi punti di forza, anche a lezione. Poi incomincia con le solite stronzate.
“Hai mai pensato di essere arrivata ad un punto cruciale della tua vita, ad un incrocio, sapendo di non aver più il tempo per incamminarti lungo una strada sbagliata?”
“Oh, tutti i giorni, caro professore. Solo che io di tempo ne ho ancora.” I riferimenti all’età che avanza non gli piacciono.
“La strada giusta, per me, è quella alla fine della quale trovo te.”
Boom!
Per evitare di scoppiare a ridergli fragorosamente in faccia penso alla fame nel mondo.
“Ma davvero? E cosa faccio, in fondo a quella strada, oltre ad aspettarti?”
“Che importanza ha?”
“Se permetti, per me ha una grande importanza,” ribatto.
“Il punto è che quel che resta della mia vita, lo vedo incominciare adesso, insieme a te!”
Mi prende una mano, mi massaggia le dita, gliele lascio pasticciare. Forse crede che dovrei sentirmi onorata da quella rivelazione, quasi fossi la prescelta. Non credo a una parola, naturalmente, anche se in fondo in fondo un po’ lusingata sono.
Vedendomi incerta, fa per partire all’attacco con una nuova stronzata, io lo fermo.
“Tommy, ti do un’ultima possibilità. Non ti prometto niente, ma vorrei riprovare a stare con te. Aspettami alla locanda, nella nostra stanza, domani sera, dopo le dieci. Ne riparleremo lì.”
L’idea lo stuzzica, anche se mi guarda perplesso. Perché aspettare sino a domani sera? Ma poi accetta. Si sporge per baciarmi, io giro la faccia per non toccare le sue labbra che comunque raggiungono umidicce la mia guancia. Che schifo.
Camilla ritorna, col caffè. Lui rifiuta e si alza per andarsene.
“A domani, allora,” dice, “sii puntuale.”
“Ci puoi giurare.”
Camille non vede l’ora di farmi il terzo grado. La interrompo, brusca.
“Ti piacerebbe uscire con lui?”
“Cosa intendi, con uscire?”
“Interpretalo come vuoi. Quello che mi importa è che tu mi dia una mano, domani sera. Vorrei fargli uno scherzetto. Poi, quello che succede fra voi, non mi interessa.”
“Adoro gli scherzi, Nora.”
Per il momento caccio il professore e Camilla dalla mia vita. Sono le otto di sera e fra circa 12 ore Nick verrà da me. Una serie di azioni non perfettamente logiche seguono nella mia mente e poiché non voglio che si avverino, decido di andare a passare la serata da qualcuno: se rimango a casa non farò altro che pensare a domattina, e non lo voglio. Que sera sera, diceva la canzone. Quel che sarà sarà. Prendo un paio di dvd, due pizze surgelate e vado a suonare ai campanelli. Provo con Fabio. Non mi fa entrare. Sbircio dalla porta e vedo l’impermeabile di Piera.
Ah ah! Li ho beccati. Gli mando un’occhiata malandrina e gli sorrido. Sono maledettamente felice per loro.
Camilla la salto proprio, mi è già bastata la razione pomeridiana.
Francesca. Chissà cosa ne penserà suo marito vedendomi?
Suono, mi apre lui.
“Serata intima –faccio – o c’è un posticino anche per me?”
Guarda le due pizze.
“Almeno si mangia qualcosa! Il frigo è vuoto come una zucca!”
Mi tiene la porta aperta e mi invita ad entrare.
La notte passa. Agitata, piena di insicurezze, di paure. Tra fondamentali dubbi esistenziali, del tipo: lo ricevo in camicia da notte o mi vesto? Faccio colazione o lo aspetto?
Decido di vestirmi e di fare colazione, per essere in forze nel caso le forze siano necessarie. Alle sette del mattino sono in piedi, perfettamente vestita –poco-, truccata –pochissimo-, col capello liscio e ben curato, colazionata e nevrastenica. Ho rifatto il letto, cambiato le lenzuola (non si sa mai), pulito il bagno, riordinato il salotto e il mio studio.
Neppure Facebook mi invoglia al cazzeggio. Di lavorare non se ne parla. Guardo in strada in attesa che lui arrivi. Sempre che arrivi.
Alle otto e mezza, dopo cinque tazze di caffè americano e molto nervosismo, mi scappa la pipì. Temporeggio, è logico, perché so che se andrò in bagno lui arriverà e sentirà lo scroscio della catena. Possibile che io abbia bevuto tanto caffè da non riuscire a trattenermi? Saltello per un po’, per vedere se mi passa, poi cedo e vado in bagno.
Ah! Mi sembra di rivivere. Credo di avere anche un’espressione idiota disegnata sul volto. E mentre sto ancora facendola…
Drinn, drinn!
Come da copione. Sembra non finire mai questa pipì, ma quanta ne ho?
Drinn! Di nuovo.
“Arrivo!” strillo come al mercato mentre finisco di fare ciò che devo ringraziando gli dei per il tempismo. Tiro lo sciacquone con una certa circospezione, ma l’acqua si riversa nella tazza con la stessa potenza e lo stesso fragore delle cascate del Niagara. Vado ad aprire.
“Stavi facendo pipì?” mi chiede Nick, senza preamboli.Divento rossa, come se ci fosse qualcosa di imbarazzante nel farla. Poi lui mi chiede, con un’intimità a cui la nostra brevissima conoscenza ancora non mi ha abituato:
“Posso farla anch’io, ti dispiace?”
Mi metto a ridere.
“Avrei preferito che mi avessi chiesto qualcosa di più carino, magari romantico, ma sì, il bagno è tutto tuo. Io ti aspetto in cucina.”
“No Nora, non qua sotto, andiamo nel bagno di sopra, vorrei farmi anche una doccia prima di…be’ hai capito no?”
Non è adorabile? Macho e adorabile, un’accoppiata irresistibile. Non vedo l’ora che quanto ho capito, e credo di non sbagliarmi, succeda.
Corre su, gli deve scappare davvero, e io lo seguo, ridacchiando e facendo pssss, come si fa con i bambini. Lui mi minaccia col dito e dopo un mio, “la prima a destra!” sparisce dietro alla porta. Mi sembra impossibile che lui sia qui, con me, che stia usando il mio bagno come fosse la cosa più naturale del mondo.
“Nick –faccio da dietro la porta del bagno – gli asciugamani per la doccia sono nel secondo ripiano dell’armadio.”
“Perché non vieni a darmene uno tu?”
Io? Oddio! Sta proprio accadendo? E da quando lo conosco non sono passati che…Ho perso il conto, ma certo non più di una settimana.
Sento lo sciacquone, e mi sembrano cascate cristalline di un ruscello di montagna.
“Hai finito, posso?”
”Certo, entra.”
Entro. La cosa strana è che sono tranquilla, non tremo, anche se so benissimo che non sono lì per passargli solo un asciugamano. Sono sicura di me, decisa ad abbandonarmi a lui, a dargli tutto ciò che mi chiederà e, per una volta in vita mia, decisa a prendere tutto. Apro la porta e addio calma,
il cuore comincia a battermi in petto come un martello pneumatico. Oh oh, per terra ci sono la sua camicia, i calzini, i jeans, i boxer. Li seguo come pollicino le briciole ed arrivo a lui. E’ già sotto la doccia, nudo, ovviamente, e se mai ho visto un uomo eccitato, be’ quello è Nick.“Spogliati,” mi dice.
“Come sai fare tu,” canticchio come Pappalardo, e mi metto a ridere. Non sono un tipo da spogliarelli (se avessi solo immaginato, ieri sera avrei chiesto a Camilla un corso accelerato), ma in quel momento la pruderie non so neppure cosa sia. Mi sfilo l’abito, poi le autoreggenti sentendomi come Ann Bancroft ne Il Laureato. Lo sguardo di Nick, pieno di desiderio, mi fa sentire bellissima e mi dà il coraggio di fare ciò che mai avrei pensato di poter fare. Ci stiamo guardando negli occhi e il nostro sguardo è molto più esplicito e indecente che se stessimo esplorando parti più intime del nostro corpo. Mi sgancio il reggiseno. Nick ha un sussulto. Mi sfilo le mutandine. Si lascia andare ad un gemito. Ed entro nella doccia.
Lui mi prende una mano, me la bacia, e mi attira a sé. I nostri corpi si toccano e sono scintille nonostante l’acqua zampilli fresca su di noi. Mi bacia sulla bocca e quello è un bacio che non dimenticherò per tutta la vita. Non è esplorativo, è un bacio d’assalto, il navy seal di tutti i baci. Vuol dire sei mia. Per sempre. Sono stordita da quel bacio, titillata dalle mani di Nick che nel frattempo non se ne sono rimaste tranquille, dalla sua eccitazione che sfrega contro di me senza pace. Mi succhia i capezzoli, provocandomi un piacere mai che rischierebbe di trasformarsi in orgasmo se non lo fermassi immediatamente.
“Nick,” è un’implorazione, una preghiera di cui non mi vergogno. Sono impaziente. Lo voglio subito dentro di me.
“Nick, non voglio perdere tempo in preliminari…” Un’asserzione certo impegnativa e che potrebbe sembrare masochistica, visto che sto gemendo come una diva del porno al tocco delle sue mani. Parlare mentre lui mi fa certe cose in certi posti non è facile.
Mi guarda, stupito e divertito. Mi accarezza il viso. Gli prendo la mano e gli succhio le dita senza neppure rendermene conto. Lo sento gemere.
“Ho capito subito, appena ti ho vista, che eri la donna della mia vita e ora ne sono certo - ridacchia. Neanche io sono uno da preliminari.”
“Intendevo per questa volta, non per sempre. Ma ti avviso –gli dico sulla bocca, mordicchiandolo tra una parola e l’altra - che sono favorevole ai postliminari, in altre parole grattini sulla schiena o sui piedi, tu a me, naturalmente.”
“Quelli te li devi guadagnare…”
“Sono curiosa di sapere come…” Ridacchio mordendogli ancora il labbro, ma subito la mia espressione diventa seria. Come la sua.
Sto per scoprire se l’attrazione che ci ha legato dal primo istante funziona anche dove è fondamentale.
Mi prende in braccio senza fatica e mi schiaccia contro la parete della doccia. Incrocio le braccia intorno al suo collo e le gambe intorno ai suoi fianchi, con l’agilità di una contorsionista. Mi sembra di aver fissuto sino a quel giorno solo per stringermi a lui in quel modo. La sua bocca accarezza le mie labbra, le stuzzica con la lingua, come il suo desiderio fa più in basso con la mia femminilità.La sua lingua mi invade la bocca con un tempismo perfetto mentre lui entra in me. In un solo, fluido, profondo movimento che mi lascia senza fiato. Urlo mentre mi inarco, incredula di fronte all’ immediata, perfetta ondata di piacere che mi divora. Lui geme e rimane immobile dentro di me. Ci guardiamo, sgomenti. Ci sentiamo perfetti, uno nell’altra, fatti uno per l’altra. Ci sentiamo una cosa sola.
Il tempo non conta, di parole non c’ è bisogno.
Incomincia a muoversi con lentezza, portandomi continuamente sull’ orlo dell’orgasmo e fermandosi immediatamente prima, come se leggesse nel mio piacere. Vorrei che non mi torturasse, ma non mi dà pace per un tempo infinito o brevissimo, non lo so. La sua espressione, prima controllata, determinata, sicura, sembra all’improvviso travolta dal panico, dallo stupore.
Con un gemito di dolore si immobilizza e mi guarda. La sua domanda è chiara e un semplice battito delle mie palpebre risponde al suo quesito. Sì, gli dico, non fermarti più, poi ripeto all’infinito il suo nome.
Ruoto i fianchi verso su di lui che incomincia a spingere con più forza e potenza, fino a quando non mi sente urlare, fino a quando il tremore del mio piacere lo conduce sulla cima dello stesso precipizio da cui sto per cadere. Rimango in bilico solo perché lui mi raggiunga, e quando lo sento tremare, dissolversi insieme a me nella gioia più assoluta, precipitiamo insieme da un’altezza che mai avevamo prima raggiunto.
“Nick.”
“Nora.”
Mi bacia di nuovo. Rido felice.
La nostra vita,adesso,ha un prima e un dopo.
( continua la prossima settimana...)
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