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Bani Walid mon amour. Il far west della Libia dopo Gheddafi

Creato il 22 novembre 2012 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 22 novembre 2012 in Dispacci mediterranei, Medio Oriente, Slider with 0 Comments
di Karim Metref

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RUBRICA: Dispacci mediterranei

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. Non volevo andare a vedere quella mascherata permanente in cui il regime di Gheddafi aveva costretto a vivere il suo popolo.

Odiavo il regime libico e odio quelli che dicono che era giusto. Odio quelli che raccontano che Gheddafi era un grande leader africano e che aveva un piano per unificare l’Africa e farla uscire dal sottosviluppo e altre pagliacciate di questo genere. Odio Gheddafi, Saddam Hussein, Bashar Al Assad e i loro rispettivi regimi: razzisti, corrotti, violenti, oscurantisti e distruttivi. Odiavo Bani Walid e Sirte, Tikrit , fedele a Saddam e Tartous, città degli Assad. Odio quella logica di chi costruisce il proprio potere sulla corruzione, sul clientelismo e sulle relazioni familiari e tribali. Ma questo odio è rivolto a quello che questi luoghi rappresentano e non verso i singoli abitanti.

Oggi che la città di Bani Walid e la popolazione appartenente alla tribù dei Warfalla, che erano rimasti fino all’ultimo momento fedeli al regime di Gheddafi (quando molti di quelle che li attaccano oggi hanno voltato gabbana all’ultimo minuto), sta subendo un vero e proprio sterminio, e che il mondo intero guarda da tutt’altra parte, non sento che tristezza e affetto. Tristezza per la popolazione che subisce e per noi che stiamo a guardare (o a non guardare) senza saper cosa fare. Affetto per questi bambine, bambini, donne e uomini che muoiono o soffrono nell’indifferenza generale.

È iniziato tutto nel mese di luglio scorso, con il rapimento di Omran Shaaban, il 22enne, considerato dalle nuove forze al potere come l’eroe della cattura e del linciaggio di Muamar Gheddafi. Il giovane è quello immortalato da tutti i media del mondo tenendo in mano la pistola d’oro del Rais, ricevuta come premio per aver giocato un ruolo di primo piano nella cattura del ex-dittatore. Omran Shaaban era di passaggio nella provincia di Bani Ewalid quando fu catturato da un gruppo di miliziani pro Gheddafi. Ferito, detenuto in pessime condizioni e probabilmente torturato, viene restituito all’autorità nazionale dopo cinquanta giorni di sequestro. Portato all’ospedale americano di Parigi, non ce la fa e muore il 25 settembre scorso.

Pochi giorni dopo i funerali del “eroe”, una spedizione punitiva, composta dalle milizie di Misurata, Zintan e altre parti varie e non identificate, parte verso Bani Walid. Il Congresso Nazionale che ha poco controllo sulle milizie, lascia fare. L’8 ottobre un appello lanciato dall’ospedale di Bani Walid parla di massacro e di sintomi di intossicazioni con i gas.

Il 26 ottobre Al Jazira e i media vicini alle milizie annunciavano la presa della città, la fine delle ostilità e il ritorno alla normalità. Nei filmati di questi servizi si vede un esercito libico regolare ordinato e calmo che fa il suo ingresso in una città, dicono, che lo accoglie come liberatore. Ma la realtà descritta da altri osservatori non sembra corrispondere a questa versione. Se la città non è stata effettivamente liberata dalle milizie pro-Gheddafi, oggi, è sottomessa anche a quelle anti-Gheddafi e esecuzioni, saccheggi, aggressioni e altri misfatti sembrano essere all’ordine del giorno, oltre al continuità dei combattimenti.

Purtroppo il silenzio dei media internazionali e delle grosse Ong su Bani Walid, così come fu anche di fronte al massacro di Falluja all’epoca, ci porta veramente poche notizie e spesso veicolate da blog, youtube, facebook e altri strumenti utili ma difficili da verificare. Non che io consideri più affidabile ciò che viene dichiarato dai grandi media, ma quando di una cosa si parla apertamente in genere si può rintracciare più fonti e più versioni.

I pochi attivisti che riescono a entrare in contatto con abitanti di Bani Walid parlano di un vero e proprio massacro e di una emergenza umanitaria. Le milizie continuano a praticare la legge del taglione senza nessuna interferenza né dall’autorità nazionale, né dalla comunità internazionale. Molte famiglie sarebbero scappate di casa per sfuggire agli attacchi e ai bombardamenti indiscriminati e buona parte sarebbe ancora accampata in mezzo al deserto senza una adeguata assistenza e in balia a attacchi e rapine dei gruppi armati.

Forse qualcuno, lì in mezzo al deserto si chiede dov’è oggi quella comunità internazionale, dove sono la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che si erano tanto commossi per la sorte dei civili libici quando c’era da intervenire militarmente per abbattere l’ex amico Gheddafi, ormai diventato ingombrante e imbarazzante.

Oggi che è successo tutto questo, quella città che fino a un anno fa rappresentava ciò che più al mondo odiavo, mi diventa cara e nella mia mente una frase gira come un ritornello: Bani Walid mon amour.


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