Monti l’altro giorno ci ha detto che si comincia a intravvedere un po’ di luce alla fine del tunnel. Sicuro? Il giorno seguente, leggendo i dati sull’occupazione, io ci vedo invece un baratro nel quale stiamo sprofondando.
Un sacco di aziende chiudono o delocalizzano. Calzedonia ed Omsa si sono trasferite in Bulgaria e Serbia, Benetton e Stefanel in Croazia, Dainese è fuggita in Tunisia, Rossignol in Romania, la Geox si sdoppia tra Brasile e Vietnam, Acrimo e Bialetti producono ora in Cina, Ducati energia ha scelto l’India e la Croazia.
Senza contare le aziende che hanno dovuto chiudere i battenti, come Italcementi e Alcoa. L’ultima della serie è la Richard Ginori, cui si aggiungerà per questioni di sicurezza l’ILVA (*) di Taranto e, di conseguenza, anche l’indotto e l’ILVA di Genova. Anche la FIAT fa assemblare all’estero le sue 500L tra pochi giorni in vendita, ma questo solo perché i dipendenti torinesi si sono rifiutati di firmare l’accordo per le ore straordinarie relative al solo assemblaggio (erroneamente, molti giornali hanno parlato di “produzione”, che resta invece a Mirafiori).
Pure il settore dell’edilizia registra un calo di manodopera stimato in 25 mila unità.
L’unica che va controcorrente sembra essere la comasca Saati che, a fronte di nuove commesse pervenute dall’estero, non ha cercato lavoratori precari, ma ha preferito assumere operai ultracinquantenni disoccupati ma con la voglia di rimettersi in gioco e con grande professionalità ed esperienza.
E intanto Monti, con il cappello in mano, gira come un commesso viaggiatore, cercando sponsor cinesi o americani che vogliano investire nel nostro paese. Ma fino a che la legge sul lavoro non verrà cambiata e la tassazione resterà così alta, saremo sempre poco credibili.
E i posti di lavoro persi diventano sempre di più, 70 mila posti di lavoro spariti dall’inizio del suo mandato, 29mila nei soli mesi di maggio e giugno, donne e giovani soprattutto, fino a raggiungere il 10,8% di disoccupati, il numero massimo dal 2004, senza contare poi gli “inattivi”, che nemmeno si mettono più alla ricerca di lavoro perché ritengono che non riuscirebbero a trovarlo. Tutti costi, di cassa integrazione, di disoccupazione e di indennità varie, che vanno a gravare sempre più sulla collettività ancora attiva.
(*) Lavoro o salute? Non vorrei dovermi trovare a scegliere. Di primo acchito viene senza dubbio di scegliere la salute, poi però penso ai 12mila operai dell’ILLVA ed agli altri 8mila dell’indotto, 2012 mila persone, anzi famiglie, che all’improvviso si trovano senza lavoro, in un Sud già così carente di posti…