A Bari, il 29 Luglio scorso è stato il primo giorno della grande calura dell’Estate 2013. La sveglia alle sei del mattino mi ha permesso di mettere in ordine molte più cose prima della ‘magnifica’ intervista: rivisito gli schemi del discorso, le domande da fare, quelle fuori contesto o non più attuali e le cose da portare con se: blocchetti di carta, penne di riserva, registratore vocale, macchina fotografica. Anche l’abito va studiato bene, è, per chi ci crede, un doveroso segno di rispetto. E’ di fatto ancora molto importante quando, in occasioni formali, ci si reca da rappresentati di importanti istituzioni. Un gessato di lino grigio medio e una camicia bianca sempre in lino mi sembra l’ideale. Sono indeciso sulla cravatta, che un po’ stona con le temperature di un’afosa mattinata e l’atmosfera agostana di fine rettorato. La tolgo, sapendo di violare un po’ il protocollo. Confido nell’uomo Petrocelli e nella complicità creata dall’appiccicosa mattinata sahariana. Evitare la cravatta, però è come ammiccare o strizzare l’occhio e non va certo bene per la circostanza. Bastava fossimo nel primo di Agosto e la cosa sarebbe stata molto diversa: in estate si può fare, è concesso di buon grado, ma il 29 era quello di Luglio: la metto o non la metto? Ero propenso al no, ma lo decido solo quando mi balena un’idea: non dovrei essere più elegante della persona che si intervista, se io la portassi lo costringerei alle scuse per non averla a sua volta: allora forse è meglio che mi prenda io un cordiale rimbrotto, come quegli amabili rintuzzi che i maestri fanno alle materne ai giovanissimi studenti: dopo tutto coi i grandi Maestri si ha sempre qualche cosa da imparare.
Quando vedo che il Magnifico Rettore che non portava la cravatta, dentro me sorrido. D’un tratto mi viene in mente Giovanni Pascoli e torno bambino: sento il suo sguardo che per un attimo si era posato alla base del mio collo scoperto.
L’Ateneo barese è una realtà molto importante, ha sessantamila studenti e svolge la sua attività di produzione culturale come Università dal lontano 1924 in sostituzione delle antiche Scuole Universitarie di Farmacia e di Notariato fondate dopo l’Unità d’Italia al posto dell’antico “Reale Liceo delle Puglie”. Solo nel 2010 viene intitolata unanimemente allo statista barese Aldo Moro.
Ma il 29 Luglio scorso, già alle sei del mattino il caldo era già di quelli africani, portato da un leggero vento di Scirocco in ondata di caldo che dura ancora.
Avevo scritto una scaletta delle domande che avrei voluto fargli. Il mandato da Rettore è un incarico che dura sei anni, sembrano tanti, ma per le innovazione importanti sono appena sufficienti, spesso i progetti corposi partono dopo due o tre anni dall’insediamento. Infatti mi riferisce che molti progetti avviati saranno inaugurati dal suo successore.
La scaletta che però avevo in mente continuava a modificarsi ed a cambiare di ordine. Aggiungevo e toglievo argomenti. Modifiche che comportavano anche l’impegno di documentarsi sui temi delle domande e quindi l’attività di lettura era la principale attività delle ore precedenti all’evento.
Mezz’ora nel fresco salotto dell’Ateneo che Aldo Moro ha frequentato come studente, mi sembravano addirittura poche mentre trascorrevano: avevo poco tempo. Intanto perché non sapevo quanto l’attesa sarebbe durata e le ore undici stavano arrivando troppo rapidamente. Il salottino però disponeva di una comoda poltrona, riviste mediche, della Difesa, quelle Internazionali e alcune di grandi ed antichi centri di pensiero. Nel salottino ha anche la veloce rete wireless che l’Università mette a disposizione in tutto i tutto il plesso universitario: speriamo presto anche di tutta la cittadinanza.
Alle undici il Prof. Corrado Petrocelli, si affaccia con il suo elegante abito estivo scuro e con la camicia di lino bianca. I folti baffi bianchi appuntiti ai lati e leggermente ingialliti dal fumo di sigaretta, una colorazione che sottolinea quelle ore di studio e di lettura del suo impegno accademico. E’ cordiale come sempre e disponibile con tutti: sempre pronto all’innovazione. Al suo cenno, segue la sua voce calda e accomodante, ma ferma come quella di chi deve svolgere le ultime e numerose, ed al tempo stesso più importanti, attività del suo rettorato. Lo seguo nella sua grande stanza, nel cuore stesso dell’Ateneo tra i più importanti del Centro e del Sud del Paese.
Dopo alcuni convenevoli parte il dialogo dell’intervista stessa. Avevo, almeno in quel momento dimenticato tutta la scaletta delle domande, parliamo quindi a braccio.
Inizio riferendogli le mie emozioni circa la mia ultima intervista al Generale di Corpo Armata Giorgio Battisti, organizzata per un gruppo di giornalisti ed esperti di Comunicazione a Roma presso il Comando Operativo Interforze. Tra le motivazioni della video conferenza era quello di fare un punto preciso sulla situazione Afghana. Viene brevemente, tra l’altro, in parola anche Malala Yousafzai, la bambina pachistana, candidata al Nobel per la Pace: ama la scuola e lo studio. La sua recente testimonianza fatta in seno al Consiglio delle Nazioni Unite d’Europa ha toccato il cuore di molti cittadini nel mondo. Dall’età di 11 anni scrive su un blog della BBS quello che vede ed è stata un’esperienza davvero dirompente tanto che i Talebani hanno tentato di ucciderla.
Ma iniziamo la nostra intervista.
Trascendendo dai dettagli, e portando il discorso sulla produzione del sapere di Bari, viene da se chiedere: “Magnifico quali sono le ‘tracce’ della diffusione della Cultura Italiana nel Mondo”.
Ho avuto modo di riscontrare attraverso le mie esperienze, ed alle volte con notevole sorpresa, che vi è all’Estero un ampio e sempre più crescente interesse per la Lingua Italiana, la nostra Cultura e le Tradizioni Italiane.
Faccio pochi esempi partendo dal Sud America dove si può pensare che essendovi molti italiani di terza o quarta generazione abbiano particolare interesse per l’Italia. Cosa che si può ritenere molto naturale se parliamo per esempio di Argentina, e probabilmente lo è, infatti abbiamo molti contatti con i paesi e le Università argentine. In altri paesi però, questo interesse è un po’ meno naturale, ma vi è una pari attrattiva. Sono stato di recente in Perù, perché abbiamo delle convenzioni con le Università peruviane dove ho tenuto delle lezioni, è stato molto interessante anche il fatto che sono stato poi invitato ad una conferenza dove potessi parlare dell’importanza dei classici in generale, che è poi la mia specialità in quanto sono un antichista di mestiere. Loro hanno messo accanto a me dei professori peruviani che hanno parlato di Dante e di Leopardi con una notevole approfondimento. Prima di partire pensavo che ad una conferenza simile sarebbero stati presenti in pochi, ma onestamente ho potuto rendermi conto che vi erano più di quattrocento persone, i posti tutti esauriti, la gente era in piedi e sono rimasti fino alla fine.
Una seconda esperienza l’ho avuto quanto mi sono recato a Mosca per ritirare il titolo di Professore Onorario concessomi da una Università moscovita. Mi sono documentato sugli interessi che i russi hanno verso la nostra cultura scoprendo che a seguire i corsi di Lingua Italiana a Mosca sono tra i 250 e i 300 studenti ogni anno. Addirittura la lingua Italiana è stata inserita nel corso di studio delle superiori in alcuni istituti. Infine lo scorso anno è stata la seconda lingua straniera più richiesta dopo l’inglese. Questo mi fa immaginare che esiste un interesse concreto verso la nostra tradizione e la spiegazione è semplice che l’Italia ha un ruolo privilegiato nella storia delle elaborazione delle idee e della cultura a livello mondiale perché siamo un concentrato di tradizioni e di esperienze che altrove non esiste. Il dramma è che forse non ne siamo consapevoli noi stessi. Prima di potenziare l’espansione della cultura mondiale nel mondo, cosa che non solo è fattibile, ma è anche auspicabile se non addirittura necessaria, noi dobbiamo convincerci che la nostra cultura è la nostra principale risorsa “mineraria” che noi abbiamo: la cultura italiana è il nostro “petrolio”. Solo rendendoci consapevoli di questo potenziale possiamo pensare di poter poi esportare al meglio la stessa Cultura.
Ora avviciniamoci un po’. Abbiamo parlato dell’Afghanistan, del Sud America con Argentina e Peru infine dell’Oriente con Mosca. Ma una questione cui tengo molto è il Mediterraneo e le relazioni dell’Italia con i paesi che si affacciano sul “Mare Nostrum” e con i popoli africani sub sahariani. Quali le implicazione dell’Ateneo?
Nel Mediterraneo noi abbiamo una forma di organizzazione, da sempre, che riguarda gli interventi dei nostri ricercatori in tutti gli eventi importanti che riguardano la struttura UNIMED. E’ un’organizzazione che mette insieme una serie di Università del Mediterraneo. Noi siamo anche capifila della Comunità Universitaria del Mediterraneo denominata CUM, e diamo vita a Master, ed una serie di iniziative a riguardo.
Lavoriamo con l’altra sponda del Mare Adriatico, grazie ad i nostri Internazionalisti con una serie di convegni sul Diritto Internazionale, sul’Accoglienza, sull’Integrazione. Esiste “Europe Direct” che è una rivista con cui collabora anche la Regione, diretta dal nostro prof. Triggiani. Facciamo meglio e di più, di quanto ora si è detto, secondo quell’idea di esportare la nostra esperienza altrove ed aiutare gli altri a crescere attraverso una serie di progetti. Progetti che alle volte si sono modificati in corso d’opera. Facciamo degli esempi. Dopo Padova siamo la seconda Università che ha deciso di aderire al programma CUAMM “Medici con l’Africa”, per cui noi inviamo nell’Africa non soltanto i nostri medici, che sono richiesti per tenere delle lezioni, ma inviamo anche i nostri specializzandi, che rimangono lì per molti mesi, ad imparare sul campo, e nel contempo a far crescere la loro realtà. Abbiamo voluto che delle studentesse delle scienze Infermieristiche si specializzassero in Ostetricia e Ginecologia per andare ad operare nel cuore nell’Angola o in altri stati Africani. Una nostra delegazione è andata quindi in una zona del Kenia, dove c’é una cooperativa che produce dei prodotti biologici che esporta in tutto il mondo, per aiutarli a migliorarli. La Delegazione si è resa conto che nella loro area geografica vitale vi era una realtà divisa in due da un piccolo fiume che creava problemi alla gente ogni volta che dovevano attraversarlo ed ogni volta che andava in piena trascinava via il ponte il legno che c’era e procurava seri problemi. D’accordo con la Regione i nostri hanno costruito un ponte di ferro che abbiamo inaugurato. Adesso stiamo risolvendo anche il problema dell’acqua potabile.
Credo non sia un caso che, ora che c’é stato un grande programma di Cooperazione lanciato dal Ministero degli Affari Esteri soprattutto sull’agroalimentare contro lo spreco dei cibi e per una produzione nei confronti delle popolazioni che invece ne ha bisogno, tra gli Atenei che sono stati scelti per questo c’è l’Università di Bari insieme a Palermo e Napoli.
Prof. Petrocelli avviciniamo geograficamente ancora una volta il nostro discorso a questo ateneo finalmente libero dalle auto parcheggiate nell’atrio. Ho notato che funziona una bella rete wireless nel quartiere, quali altri iniziative avete preso nel settore telematico?
Tutte le informazioni di cui ora parliamo sono già pubblicate sul sito dell’Università. E questa è di per se una importante novità. Altra iniziativa è stata di dotare tutti i nostri studenti di una casella postale elettronica e relativo indirizzo email nominativa da utilizzare per le comunicazioni ufficiali, spesso le email fantasiose hanno creato non pochi problemi di gestione, e quelle mnemoniche che contengono il cognome ed almeno una lettera del nome di certo sono preferibili. Non è stato semplice dato il numero, parliamo di oltre sessantamila caselle postali, una per ogni studente. Ci auguriamo che ora gli studenti si abituino a dialogare attraverso questa.
Molto del lavoro fatto si fonda su due principi di riferimento e parlo di Condivisione e di Trasparenza i due punti cardine in cui ho cercato di procedere in questi anni di Rettorato. Solo così si può arrivare a conseguire dei risultati e a fare delle scelte alle volte anche difficili.
Sul livello di informatizzazione della didattica dell’Ateneo barese il Magnifico Rettore ha già anticipato che delle cose sono state fatte e che altre saranno fatte. Viriamo il discorso sul versate telematico della didattica e commentiamo alcune realtà interessanti che le grandi industrie dell’hardware hanno già reso disponibili anche a titolo gratuito. Vede Magnifico sono cose molto interessanti anche se occorre pensare ad almeno due canali per la distribuzione dei contenuti universitari, ovvero sia il mercato smartphone e tablet che su quello Apple con gli iPhone i gli iPad. Questi contenuti, in pratica dei brevi video di presentazione dei corsi e delle discipline non le sembrano utili ad un migliorare l’orientamento dei prossimi studenti?
In Italia si vive una situazione diversa rispetto agli altri paesi. Per esempio anni fa è partita una Università specializzata nella formazione a Distanza (FAD) che si è imposta all’attenzione degli studenti già sfruttando il satellite ed i canali televisivi nazionali struttati nelle ore notturne per la trasmissione della didattica e quindi affidandosi alle telefonate per i collegamenti didattici tra discente e docente, almeno in un primo momento. Queste realtà si sono moltiplicate con lo sviluppo della rete internet. Le società telematiche hanno quindi assorbito tutta l’utenza definendo uno standard con caratteristiche precise per l’e-learning, e non sempre tali università sono tenute a rispettare proprio tutte le stesse regole e gli stessi parametri previsti per gli altri Atenei. Ne è scaturito che le Università tradizionali si sono sentite esonerate dal perseguire tale innovazione nell’idea di non duplicare offerte già presenti.
In particolare la didattica asincrona non credo sia sufficiente per soddisfare una moderna offerta formativa, sono invece convinto che sia ancora necessaria l’interazione con lo studente. Lo standard della video lezione, che dovrebbe continuare ad esserci, andrebbe quindi completata con la video conferenza del tipo “uno a molti”, ma che sia anche “live”, che permetta il dialogo. Tali lezioni online, al pari di quanto accade nelle aule, sono pubbliche, e si dovrebbe permettere la partecipazione anche ai cittadini, almeno per certi tipi di lezione.
L’e-learning è una modalità di erogazione degli insegnamenti che risolverebbe l’idea di avere l’Università sotto casa, – che non può funzionare – garantendo comunque standard elevati.
Ora si potrebbe far confluire il meglio in un corso unico di eccellenza. Scartando l’idea della migrazione degli studenti tra una sede all’altra o la migrazione dei docenti non può non affermarsi un modello di formazione assistita dalle tecnologie della telematica. Questo è il futuro di una nuova metodologia didattica ed è una proposta concreta che si può realizzare. Ad esempio per le discipline della Medicina alcuni interventi chirurgici di notevole complessità e con tecniche avanzate e particolari sono erogate in rete e seguite già da alcune Università statunitensi che pagano per poterli avere. Questo è un esempio di come possa funzionare una didattica universitaria moderna.
Prof. Petrocelli spingiamoci un poco nel passato e arriviamo al momento in cui è arrivato in Ateneo sorvolando su tutto il periodo del suo rettorato. Cosa ha trovato, cosa ha cambiato, e che cosa voleva fare e che non ha fatto; se ci sono state difficoltà lievi o importanti che ha dovuto superare. Insomma Prof. Petrocelli ha fatto tutto quello che avrebbe voluto fare?
E’ una domanda complessa e risponderò per esempi, ma solo per esigenze di tempo. Sarò anche parziale nella trattazione ovviamente. Ho trovato l’Università in pessime condizioni se non disastrate. Tra le prime iniziative si sono compiute quelle operazioni che riqualificavano l’immagine dell’Università di Bari, che merita tutta la visibilità, il rispetto e la piena dignità. Si è adottato il Codice Etico contro il “nepotismo” e “parentopoli”. Abbiamo attuato forme di intervento severe ed immediate su problemi come la compravendita di esami. Abbiamo anche realizzato un sistema di test che ci dicono, il più blindato d’Italia. Poi abbiamo dovuto mettere mano al bilancio che dopo un paio d’anni ha rilevato un deficit notevole di oltre 52 milioni di euro. Con le nostre iniziative economiche siamo scesi a trenta milioni, ma nel frattempo sono arrivati tagli per oltre 36 milioni aggravando la situazione inquadrata in partenza per l’avvio del risanamento. Un’operazione ciclopica di una portata di quasi cento milioni e cercando di mantenere nonostante le ristrettezze, i finanziamenti alla ricerca, il miglioramento dei servizi agli studenti.
E’ stata sempre presente l’esigenza di innovare, per esempio oggi gli studenti si iscrivono telematicamente mentre prima si facevano code chilometriche. Avremo a breve anche la registrazione degli esami sul portale Esse3 con beneficio delle carriere degli studenti. Abbiamo anche attivato una card universitaria con cui effettuare le operazioni di dare/avere con l’Università. Abbiamo anche trovato degli edifici che non servivano e sono stati messi in vendita nonostante il momento non vantaggioso per chi aliena. Altri edifici sono stati recuperati e ristrutturati come ad esempio il Palazzo delle Poste che funziona come un centro polifunzionale a disposizione degli studenti che è aperto dalle 7:30 del mattino alle 21:00 di sera. E’ nuovo, con sale di lettura con alcuni computer multimediali, ci sono sale per le mostre, rassegne ed installazioni, ma anche convegni, presentazioni di libri e concerti. Abbiamo realizzato una nuova casa dello studente con ulteriori 330 posti e l’asilo nido per il personale dell’Università. E ancora abbiamo avuto un finanziamento per 80 milioni di euro per un nuovo Campus a Valenzano che diventerà una vera e propria cittadella della Scienza e della Ricerca dove andranno l’ex Facoltà di Agraria, Biotecnologie, le nuove serre, il nuovo orto botanico. Abbiamo costruito un palazzo di studi Biologici nel Campus per sostituire quello vecchio. Potrei continuare perché abbiamo fatto tanto e per via delle ristrettezze abbiamo potuto assumere solo ricercatori, però ben 175 in questi anni, di cui 22, e sono un fiore all’occhiello, finanziati dall’esterno. Ciò vuol dire che ci sono Enti, Società di servizi o Imprese esterne che hanno fiducia nella nostra Università e nei nostri Professori e finanziano posti per giovani ricercatori. Si poteva fare di più? Sicuramente! Si poteva fare meglio? Sicuramente!
Ci sono delle cose che avrei voluto fare e che non ho fatto? Si tante! Ma il periodo del Rettorato è abbastanza breve e molte iniziative non le vedrò finite e saranno inaugurate dal mio successore. Forse farò in tempo per consegnare l’ex palazzo dell’Enel al Dipartimenti di Formazione, Psicologie e Comunicazione appena finiscono i lavori di ristrutturazione in questi giorni. Almeno però l’Ateneo è stato liberato da molte problematiche, ma la situazione di crisi non è finita perché c’è ancora questo deficit e queste ristrettezze. Ci sono problemi che sono da risolvere al livello di Governo Nazionale soprattutto per il settore della Ricerca. Devo lamentare che i finanziamenti sono sempre di meno ed invece investire in questo settore strategico è l’unico investimento possibile per garantire lo sviluppo futuro del Paese altrimenti si è costretti al declino. Ma noi abbiamo un Patrimonio Culturale immenso e va annoverato tutto il Patrimonio Artistico, Monumentale, Archeologico, ma anche Paesaggistico e Agroalimentare. Siamo primi al mondo con una serie di prodotti che ci rendono unici e su questi dovremmo fare leva e non è vero che questo non interessi l’Economia, come vorrebbe dimostrare la famosa massima che con la “Cultura non si mangia”, invece non è vero. Lo scorso anno l’industria culturale/creativa ha fatturato più di quella automobilistica, sembra che i paesi emergenti lo abbiano capito, noi ancora no.
Prof. Petrocelli gli argomenti che ha presentato sono moltissimi e meriterebbero ciascuno un approfondimento, ma poniamone una su un Corso di questo Ateneo: “Per esempio non crede che il Corso di Scienze di Comunicazione possa rappresentare una risorsa strategica per l’Ateneo stesso, e soprattutto per il territorio regionale ed il Paese? Ad esempio gli studenti che scelgono l’indirizzo di Giornalismo dovendo imparare a gestire anche un’intervista non trova che sarebbe interessante farle fare ai Responsabili dei Dipartimenti e al Rettore dell’Ateneo stesso? Magari attraverso un laboratorio di scrittura dal secondo anno? Rimanendo ancora sul Corso di Scienze delle Comunicazioni e dello sbocco verso il Giornalismo non è contraddittorio, ma l’avverto la mia è una provocazione, che un laureato in una materia specialistica magari anche dopo la Magistrale debba trovare una testata per iniziare un praticantato a pagamento, e magari la testata è diretta da un diplomato in materie tecniche?
Questa Università è tra le poche che offre un Master abilitante di primo livello organizzato con l’Ordine dei Giornalisti di Puglia. E’ evidente che l’iscrizione all’Ordine è comunque un percorso da fare che è esterno alla formazione Universitaria. Il Master che si propone è infatti abilitante in quanto è riconosciuto: è accessibile con la Laurea Triennale di Comunicazione.
Sempre per provocare il dibattito, non le pare sia asimmetrico il bilancio tra un percorso di un Master di 18 mesi con un costo di 8 mila euro circa da farsi dopo una Laurea Triennale e dall’altro lato solo sessanta o ottanta articoli l’anno pagati – si spera – magari con il minino sindacale? Professionalmente non le sembra ci sia uno sbilancio eccessivo sulle competenze? Infine non trova che per certi versi si limiti l’accesso del cittadini alle informazioni limitando le iscrizioni stesse? Non è leso forse un Diritto costituzionale sancito dall’art. 21?
Effettivamente il valore del Master è notevole in termini di sviluppo di competenze in quanto questo è erogato con esperti di lunga carriera. Ma va considerato anche la notevole complessità di formare giornalisti magari del settore audiovisivi o della radio e addirittura fotografi che hanno competenze molto raffinate e diverse.
Ma liberalizzare le iscrizioni all’Ordine non darebbe merito alle competenze?
Lei mi solleva un antico problema che sopravanza lo stesso Ordine dei Giornalisti, ovvero che ci dovremmo interrogare sulla natura stessa dell’Ordine che da alcuni viene visto come un momento di salvaguardia di certe caratteristiche da altri viene visto come un freno e vede gli Ordini come esperienze lobbistiche. In realtà ci sono Ordini che nel tempo si sono evoluti e svolgono una funzione molto positiva come quello degli Avvocati, dei Farmacisti o degli Ingegneri. Ad ogni modo come Rettore ho già avviato un dialogo con gli Ordini, ed è nello statuto dell’istituzione di una Consulta da riunire almeno una volta all’anno per avere suggerimenti sull’integrazione da apportare ai nostri corsi di studi. Questa Consulta ha per esempio determinato un bell’accordo con l’ordine dei Commercialisti inserendo nel percorso della Magistrale il periodo di Tirocinio al fine di far recuperare agli studenti quasi due di ulteriore formazione dopo la laurea. Ed addirittura se si sostengono alcuni esami la prima delle tre prove scritte per l’iscrizione professionale viene riconosciuta. Credo che la soluzione non sia verso la liberalizzazione o no, ma verso forme di cooperazione per evitare allo studente un nuovo e diverso percorso formativo nella consapevolezza che la conoscenza della disciplina è una cosa e l’esercizio professionale è tutt’altro. Tuttavia non spettano solo all’Università iniziative del genere.
Ci apprestiamo ai riti di saluto mentre mi balena l’idea di aver fatto buona impressione: “Mah, chissà?” Penso. L’incertezza mi assale: avrò offerto le mie domande con sufficiente cordialità? Dovevo forse essere più incisivo? Sfoderare l’arroganza di chi sa tutto per intimorire quando invece non si sa nulla? E, al contrario, sarò stato troppo lungo? I dubbi non mancano.
Certo è che come Comunicatore leggo in giro poche interviste al Rettore, eppure con questa crisi etica e morale ve ne sarebbe proprio bisogno. Penso quindi ad un taglio istituzionale, anche se si corre sempre il rischio che qualcuno interpreti questo stile come una “marchetta”, che in gergo giornalistico indica quegli articoli fatti “a favore” dell’intervistato. Ma, a me, l’intervista è piaciuta, le mie origini e le mie tradizioni lucane mi spingono a usare uno stile ‘romanico’: asciutto, diretto, in cui non viene nascosta la diversa posizione sociale. Non dimentico il precariato. Non dimentico le vie in cui ho vissuto a Venosa. Non dimentico la polvere dei campi nella raccolta autunnale delle olive o le lunghe e fredde giornate di vendemmia. Non dimentico quanti articoli ho scritto per spingere la Provincia e la Regione Basilicata a far riparare la Provinciale n. 10, che all’altezza di Ginestra, ad ogni inverno cede a valle con le abbondanti piogge. Non voglio dimenticare lo scherno gratuito dei nuovi ricchi e lo stigma degli arrivati. E, come faccio a dimenticare mio padre, che nel frattempo, tra quella prima e la seconda intervista è mancato. “Fatti onore” erano le poche parole che mi diceva, e alla fine lessi nei suoi occhi, quasi a voler scavalcare tutto quel magmatico dire, sulle nostre diversissime ed intime sensibilità.
Rapito da questi pensieri sento la sua mano sinistra sulla mia spalla appena appoggiata. Raggiungo la sua mano destra per salutarlo mentre sorride è mi congeda cordialmente con un sorriso soddisfatto.
Antonio Conte