Magazine Cinema
Regia: Stanley KubrickCast: Ryan O'Neal, Marisa Berenson, Marie KeanAnno di produzione: 1975
Può “Barry Lyndon” essere classificato come il miglior film di Stanley Kubrick (e non quello "definitivo" perché se mai ce n'è uno quello è "2001") se non – addirittura – come uno dei migliori film della storia del cinema? Secondo me sì, può. L’impressione che si ha guardandolo/riguardandolo/contemplandolo è quella di trovarsi di fronte a un’opera d’arte completa, al livello contenutistico, formale, dunque estetico e sonoro. In uno dei trattati di estetica e critica letteraria più famoso di tutti i tempi, l’Anonimo coniò il concetto di “Sublime” (“Il sublime”) per indicare non solo qualcosa che è semplicemente bello o meravigliosamente bello, ma qualcosa che sconvolge e sbigottisce per quanto è straordinario e grande. Se c’è un film che conserva più di una parvenza di tale concetto di sublimità questo è sicuramente “Barry Lyndon”, un’opera perfetta, superba e imponente, sotto ogni punto di vista. Mi piace molto l’accezione che fece il New York Post: “Puro cinema” aggiungendo “La sua struggente bellezza vi annienterà”. Le peculiarità del cinema di Kubrick vengono qui esasperate, in una narrazione atipica, apparentemente letteraria ma estremamente cinematografica. Una narrazione fatta di...nulla. "Barry Lyndon" (non)parla di nulla: c’è una dilatazione radicale dei tempi, c’è l’amore e il fascino per i tempi morti, c’è una voce narrante che ci riporta al romanzo con cinismo e un certo machiavellismo. Ma soprattutto "Barry Lyndon" parla di cinema, non di film: parla delle magie della luce, parla del miracolo del filmare, parla di giochi della visione e delle sinfonie di immagini. Insegna una volta per tutte cosa vuol dire adattamento cinematografico. Ciò che emerge da quest’esperimento colossale è un film sontuoso, una danza di immagini che raccontano un lento declino. Vorrei osservare come la perfezione estetica, stilistica e contenutistica del film di Kubrick sia così netta da far trasparire, molto spesso agli occhi degli spettatori – una sensazione di glacialità, di radicale freddezza. Spesso “Barry Lyndon” viene etichettato come film freddo, dove il regista – per sua precisa scelta, è ovvio – rimane sempre distante dal suo personaggio, fotografando una realtà senza ricavarne un giudizio, un sentimentalismo di troppo. Questa freddezza è pietrificante, e per paradosso il gelo emoziona. Il regista è il padrone delle sue creature e prendendone le distanze sottolinea il suo ruolo dei creatore di realtà, di burattinaio, o, per meglio definirlo, di demiurgo, che osserva i suoi personaggi e li fotografa. Questo è uno dei pochi film che merita di essere considerato un'autentica opera d'arte. La cura dettagliata, minuziosa, maniacale per la ricostruzione scenografica di un’epoca è commovente: come dar torto a chi ha affermato che ogni immagine di questo film sembra un quadro? Non per niente si ispirò alle tele di pittori classici, girò tutto con luci naturali, ricostruendo perfettamente le atmosfere Settecentesche. Ovviamente essenziale è la colonna sonora: sapientemente si costruisce un abbinamento perfetto tra immagini e musica, e laddove la voce narrante non racconta gli avvenimenti, sembra la musica a raccontare, con le note, tutto quello che succede. Come sempre in Kubrick il ruolo della colonna sonora non si limita a essere un semplice accompagnamento musicale, ma diventa racconto stesso. La musica sembra quasi protagonista, visceralmente legata alla freddezza di Barry. Tra piani sequenza, amore per il gentile dettaglio, minuziosità e maliziosità, la storia di Barry procede come una scalata sociale, partendo da zero e sprofondando nel lusso, per involvere nel degrado. E’ storia di evoluzione e involuzione, senza moralismi e senza redenzioni, dove il fine giustifica sempre e comunque il mezzo. Tra le scene memorabili c’è quella iniziale che sempre, categoricamente, mi mette i brividi: la partita di carte tra il giovane Barry e sua cugina, la lentezza dei loro dialoghi, la maliziosità, la bellezza e la femminilità di lei, l’imbarazzo e l’eccitazione di lui: una scena suadente ed erotica, stampata nella mente di ogni cinefilo.
Da vedere e rivedere, da amare, conservare e ricordare. A parer mio il miglior Kubrick.
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