Alla morte del marito, Lady Lyndon, nonostante l’ostilità del figlio, sposa Barry che, in questo modo, può credere di aver raggiunto l’obiettivo della sua vita: l’agiatezza e il titolo di Lord. Ma dopo la nascita del loro figlio Bryan, Barry Lyndon si disinteressa della pur sempre avvenente moglie e non si preoccupa di coltivare la sua passione per le giovani donne, nobili o plebee che fossero, con discrezione. Ciò accresce l’ostilità di Lord Bullington, provato anche dalla nascita del fratellastro, e il conflitto tra i due esplode violento ad ogni occasione. Alla fine, Bullington lascia la casa, giurando vendetta non appena la situazione lo avesse consentito. Il rovescio della fortuna per Barry non tarda: dopo aver pregiudicato ogni possibilità di ricevere il titolo di Lord ed essersi guadagnato lo sdegno della buona società, per aver picchiato selvaggiamente in pubblico Bullington durante una festa musicale, in occasione del loro ultimo scontro, suo figlio, il piccolo Bryan, muore, conseguenza della caduta per essere stato disarcionato dal puledro, dono di compleanno, cavalcato furtivamente anzitempo, nonostante il veto del padre. Barry si da all’alcool, mentre Lady Lyndon, dopo aver tentato il suicidio, sprofonda nell’isteria religiosa. Il dissesto economico, naturale conseguenza della situazione, viene arginato solo dall’amministrazione oculata della madre di Barry. In questo contesto, Lord Bullington si ripresenta e sfida a duello il patrigno. Dopo aver fatto esplodere a vuoto il suo colpo per l’agitazione, Bullington, tremante e cadaverico, viene risparmiato da Barry che scarica a terra il suo. Ma, contrariamente alle aspettative e nonostante lo spavento passato, il giovane Lord non si ritiene soddisfatto e chiede il secondo colpo, con cui ferisce gravemente Barry a una gamba, successivamente amputata. Riprese in mano le sorti dei possedimenti di famiglia, Bullington offre una sostanziosa rendita a Barry, a patto che questi e la madre rientrino in Irlanda e non facciano più ritorno in Inghilterra. Vista la situazione, Barry accetta.
Girato in alternativa al progetto su Napoleone, accantonato scaramanticamente dopo il flop del film Waterloo di Sergej Bondarçuk del 1970, Barry Lyndon mostrò tutta la maestria di Kubrick nella ricostruzione storica, esaltando il sottile senso eroicomico tipico del romanzo picaresco e la sua personale vena antimilitarista e dissacratrice, anche grazie a un indovinato utilizzo della voce narrante fuoricampo e in terza persona. Frutto di una maniacale cura nella scenografia e nei costumi, firmati rispettivamente da Ken Adam e Milena Canonero, portata avanti attraverso una meticolosa ricerca sulla pittura dell’epoca, il film apparve come uno straordinario affresco in movimento. Ma è soprattutto nella fotografia, firmata da John Alcott, che il regista ebbe intuizioni che ne evidenziarono una volta di più la genialità e la perizia artigianale. Per evitare alterazioni dell’atmosfera, dovute alle luci artificiali, Kubrick adattò un particolare obiettivo, prodotto dalla Carl Zeiss per la Nasa, alle sue esigenze. In questo modo, poté permettersi di girare scene illuminate dalle sole candele o dalla luce naturale e stemperare l’effetto delle luci artificiali nelle scene in cui era necessario il ricorso ad esse. Azzeccatissima anche la scelta delle musiche, curate da Leonard Rosenman con il riadattamento e la manipolazione di brani di grandi autori, dal barocco al protoromanticismo (Handel, Bach, Mozart, Paisiello e Schubert) e l’innesto di ballad e marcette folk irlandesi eseguite, tra gli altri, dai Chieftains.