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Basaglia, i matti e la creatività

Creato il 04 luglio 2011 da Sulromanzo

Franco BasagliaIl festival di Biarritz in Francia è stato uno dei primi a dare dei riconoscimenti alla fiction italiana “C'era una volta la città dei matti”, che a febbraio è andata in onda su RAI 1 realizzando il 21,25% di share.
Perché il pubblico è attratto da un film sul disagio mentale? Siamo soddisfatti dei confini stabiliti tra sano e malato?
Questo film televisivo racconta dello psichiatra Franco Basaglia, che riformò la psichiatria tradizionale fino allo smantellamento dell'apparato coercitivo del manicomio e fu promotore nel 1978 della legge 180 sulla salute mentale.
Non parlo del film, di cui altri hanno già scritto recensioni e commenti, ma voglio soffermarmi sull'esperienza di lavoro con i matti del produttore RAI, Antonio Nieddu, e cercare di capire quanto il lavoro creativo ci metta in contatto con quella zona oscura della nostra mente.


Come è stato lavorare a questo film su Franco Basaglia?


La realizzazione di “C'era una volta la città dei matti” con la regia di Marco Tullio è stata un'esperienza molto bella per me e non solo per il successo di pubblico che ha avuto. È un film che amo moltissimo. Ho frequentato le riprese. Il set di per sé era un grande spettacolo: vedere gli attori professionisti lavorare insieme ai matti, con un tale coinvolgimento che a un certo punto non avevi più la consapevolezza di chi fosse il matto e di chi fosse il sano.
Durante questo tipo di lavoro è nata un sorta di catarsi. Credo che sia avvenuto ciò, sia per la sensibilità degli attori, che per la partecipazione emotiva di tutto il resto della troupe. Ciascuno prendeva parte a un grande gioco liberatorio, benché il film abbia dei momenti fortemente drammatici, violenti e tristi.
Nella tua carriera cinematografica non era la prima volta che ti occupavi del tema della follia e di Basaglia, c'era stato “Matti da slegare”, e poi “La Meglio Gioventù”…
Sì, col senno del poi, senza averci pensato prima mi sono accorto che lo stesso tema era stato trattato ne “La Meglio Gioventù”. Infatti, in un momento del film si racconta di un personaggio, un medico che cura una ragazza matta dietro l'effetto della legge 180. Si tratta dell'episodio ambientato nel periodo in cui Basaglia era riuscito a portare la legge in Parlamento. La 180 poi non è stata mai realizzata in pieno, ma per colpa della politica e non tanto di Basaglia.
Tra l'altro “La Meglio Gioventù” è stata sceneggiata da Stefano Rulli e Sandro Petraglia, gli stessi sceneggiatori che negli anni '70 realizzarono con Silvano Agosti i documentari “Matti da slegare”, che raccontavano del movimento di riforma di Basaglia. “Matti da slegare”, il film in bianco e nero distribuito nel 1975, fu una delle mie prime e importanti esperienze cinematografiche. In questo film feci l'aiuto regista ed ebbi anche l'opportunità di assistere al montaggio. Quindi “Matti da slegare”, “La meglio gioventù”… queste esperienze sul mondo della follia, che con “C'era una volta la città dei matti” è quasi un cerchio che si chiude.
Perché un cerchio che si chiude?
Questa fiction penso mi sia servita anche come terapia, perché sono riuscito a fare cose che non avevo mai fatto prima, sia per la mia timidezza che per altro. Per esempio un mio cambiamento l'ho notato in un episodio: c'erano due premi da ritirare contemporaneamente, uno a Shanghai e un altro nel Principato di Monaco. Turco e Gifuni sono andati a Shanghai e quindi io sono dovuto andare a Montecarlo, dove ci dovevano consegnare due premi: uno come migliore attore e l'altro come migliore fiction e sinceramente io non sono mai andato sopra a un palco. E l'idea di parlare di fronte a un pubblico mi ha sempre terrorizzato, però ecco il film mi ha dato questo coraggio.
Tra l'altro l'etichetta del Principato di Monaco è un'etichetta molto severa e non sono del tutto riuscito a evitare la costrizione di mettere lo smoking; beh, in realtà, mi sono vestito di nero con una camicia bianca e una cravattina, l'unica che avevo, una vecchia cravatta di seta che avevo comprato a Porta Portese vari anni prima.
Così sono andato al Festival di Montecarlo con questo abbigliamento. Mi sentivo addosso gli occhi dello staff e di tutto un pubblico imbalsamato; ma forse esageravo io nel sentirmi osservato e quindi ancora più intimidito da tutti quegli sguardi. Quando poi mi hanno chiamato per ritirare il premio, sono andato sul palco con molta trepidazione e ho sentito che dovevo dire qualcosa per uscire da quel complesso da “abbigliamento inadatto”. Allora, ho avuto un'idea e mi sono inventato che la cravatta, seppur non adatta alla cerimonia, mi era stata regalata da un matto, perché io fossi elegante per dire “Grazie!” al pubblico a nome di tutti loro. Ho avuto un'ovazione. La gente era rimasta colpita, si era sentita toccata. Ma io più che altro ero contento per aver superato, io stesso, una cosa che non avrei mai fatto se non avessi avuto alle spalle questa esperienza con i matti.
Il Festival di Montecarlo è un omaggio all'eleganza e quando c'è stata la cena, l'ambasciatore italiano mi si è avvicinato, perché anch'egli colpito dalla testimonianza del matto. Chiaramente non ho detto che era una bugia e l'ambasciatore ha commentato “certo un pazzo che si preoccupa che qualcuno sia elegante non è poi così molto pazzo!”.


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