No.
Cioé sì: mi piacciono i libri tragici, i morti ammazzati (nella narrativa, eh!), i segreti che si svelano poco a poco, qualche amore finito male…
Ma no, un finale così non me l’aspettavo.
Il manichino nella vetrina ha preso il posto dello scheletro nell’armadio ed è diventato l’alter ego di Paolo Limara, giornalista: senza testa, nè seso, abbandonato tra le crepe, assiste a drammi e misteri e non può farci nulla, finché non resta dilaniato da una bomba… Così Paolo Limara – lo sentirete spesso questo nome, nel libro, reiterato come un’eco impalpabile che si sa in anticipo si spegnerà del tutto: Paolo Limara non può più far nulla per se stesso.
Bè, allora il finale era proprio quello giusto.
Però ci sono rimasta male. Come rimango male davanti a certe realtà, quelle che ci trattano tutti come manichini, mettendoci nell’impossibilità di alzare le braccia che non abbiamo… o tagliandocele di netto.
Quando un libro solleva emozioni, positive o negative che siano, allora ha colto nel segno.
Certo: ora devo disintossicarmi un attimo: qualcuno mi suggerisce un libro allegro?
Non troppo, per favore: non sarebbe verosimile.