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Batman e il Joker, le due facce del capitalismo

Creato il 20 dicembre 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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“sei proprio tu, Marx? E io chi sarei?”

Il fatto che l’uomo pipistrello sia un vigilante mascherato, per di più vestito di nero, ha a volte creato l’equivoco di un fascista. In realtà questo industriale filantropo, che reinveste il proprio capitale al servizio della comunità, sembra riunire insieme a un individualismo di matrice randiana [1] , un modello di capitalismo illuminato che oggi definiremmo “compassionevole”.

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Batman non deriva il proprio potere dall’incontro con l’animale totemico (non è Peter Parker, insomma). Il pipistrello non gli conferisce nessun superpotere, piuttosto sembra essere una sorta di catalizzatore, che scatena la vocazione di Bruce Wayne facendogli assumere una forma particolare.

Il bat-costume ammanta di un’aura soprannaturale un essere umano come gli altri (beh, forse un pochino migliore degli altri) il quale però deve il proprio potere a un’altra risorsa che egli possiede e che lo distingue dalla massa: la smisurata disponibilità economica, in altre parole: il capitale. Sembra inoltre che egli abbia  ricevuto questo potere per diritto di nascita: non è un semplice  self-made man all’americana, ma l’esponente moderno (anzi, ideale) di una nobiltà de facto che coniuga genealogia familiare, tradizioni consolidate e iniziativa imprenditoriale.

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Il Wayne Manor

Nella figura di Wayne troviamo riuniti due differenti modelli di classi dirigenti in continuità tra di loro, uno antico, l’altro moderno. Da una parte l’appartenenza a una nobiltà per diritto di nascita che, non essendo schiava del lavoro, può permettersi di dedicarsi esclusivamente alla propria educazione e poter così realizzare la propria vocazione, ma che non disdegna di assecondare anche i piaceri mondani. Wayne è certamente un playboy, anche se sembra recitare questa parte suo malgrado, come una conseguenza scontata e inevitabile della sua condizione privilegiata. Dall’altra vediamo incarnarsi nel miliardario la libera iniziativa individuale su cui si fonda il modello americano dell’industriale-titano descritto da Ayn Rand nei suoi fortunatissimi libri.

Bruce Wayne è un ricco e potente industriale che reinveste il proprio capitale sul territorio in beni che siano utili alla comunità (facendo beneficenza e finanziando opere pubbliche); ma soprattutto è all’avanguardia nel progresso tecnologico, attraverso la creazione di una serie di improbabili marchingegni che aiutano Batman nella sua lotta contro il crimine.

In altre parole, questa incarnazione superomistica deriva il suo potere dal reinvestimento virtuoso del plus-valore nella propria formazione e nel campo della ricerca scientifica. Detta ricerca contribuisce al benessere della comunità perché, nella prospettiva infantilizzante e reazionaria del fumetto di supereroi (in cui l’eroe deve limitarsi a difendere lo status quo), fornisce  gli strumenti per combattere i criminali. Non è un caso che siano soprattutto i suoi “giocattoli” a colpire l’immaginazione dei bambini e a suscitare apertamente l’invidia della sua nemesi (il Joker) nell’omonimo film di Tim Burton. Il Batman cinematografico ha caricato molto su questo elemento di spettacolarizzazione (prima con il già citato Tim Burton, poi con Christopher Nolan) proprio per chiarire meglio un aspetto moderno del personaggio che era forse meno evidente nel fumetto delle origini.

Proprio nel Dark Knight di Nolan assistiamo a una scena in questo senso emblematica: a un imitatore che gli domanda “perché tu puoi farlo e io no?” il supereroe fa valere tutta la sua superiorità di classe e mentre sale sul suo carro armato ipertecnologico, senza neanche degnarlo di uno sguardo risponde sprezzante: “io non indosso protezioni da Hockey.

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La supremazia di Batman è prima di tutto una supremazia tecnologica che deriva in buona parte dalle sue capacità imprenditoriali: gestire e amministrare virtuosamente il capitale in eccesso. Nella sua azione vittoriosa di combattente ipertecnologico  egli rappresenta il capitale in azione e per questo motivo è diventato forse il supereroe per antonomasia dell’occidente capitalista.

Sarà interessante far notare a questo punto come il primo film a segnare una rinnovata celebrità del personaggio creato da Bob Kane nell’ormai lontano 1939 sia uscito cinquant’anni dopo, nel 1989. Un anno di grande rilevanza storica poiché segna il trionfo del neoliberismo che finalmente, complice la caduta dell’URSS e l’invenzione del world wide web, può cominciare a estendere il proprio dominio progressivamente su tutto il mondo conosciuto. Batman è un efficace strumento di propaganda capitalistica che adotta una maschera umana e moralista proprio nel momento in cui questa illusione viene a cadere definitivamente, con l’affermarsi del neoliberismo senza limiti delle corporation e della finanza speculativa.  Un po’ come nei distributori automatici del caffè, in cui si decide di addolcire il sapore acre della bevanda liofilizzata decorando le macchinette con l’immagine rassicurante del macinino in legno della nonna. 

Come vedremo più avanti il suo arcinemico Joker invece incarna un altro lato del capitale, un potere più oscuro che esercita comunque un fascino decisivo sulle masse al punto da renderlo forse il più carismatico dei cattivi a due dimensioni.

 

Pazzi affari!

Il matto è la prima carta dei tarocchi. Rappresenta l’essenza vitale che permea l’universo dalla notte dei tempi; energia originaria senza limiti, è la libertà totale che può divenire anche follia e caos. Batman e il Joker, le due facce del capitalismo> LoSpazioBianco" />

Dal momento che questa carta rappresenta una sorta di grado zero che racchiude in sé tutte le infinite possibilità, il matto è l’unica carta degli arcani maggiori a non avere numero e nella sequenza  precede la prima carta (il mago). Esso non ha un valore definito e di conseguenza può essere giocato in sostituzione di qualsiasi carta.
Un pezzo di carta che non ha valore di per sé, ma che paradossalmente può assumere qualunque valore: esattamente come il denaro. Da questo punto di vista il jolly rappresenta il principio di equivalenza universale che regna nel cuore del capitale, principio che governa gli scambi commerciali identificandosi con il valore di scambio.

Anche la figura del Joker sarebbe dunque una personificazione del capitale, ma non si tratta più  del capitalista virtuoso che genera benessere e  progresso attraverso le attività filantropiche e i suoi atti di eroismo finanziati dalla ricerca scientifica. Il paziente zero del manicomio di Arkham è puro valore di scambio svincolato dal valore d’uso, rappresenta la  speculazione fine a se stessa che governa il mondo della finanza e il libero mercato senza regole. La sua ambizione totalmente irrazionale e illimitata corrisponde al passaggio che sta avvenendo o è già avvenuto in realtà, ma che non avverrà mai nella città ideale di Gotham, da una economia industriale, regolamentata e retta da principi morali, a un modello invece basato sul predominio assoluto del valore di scambio, che appartiene alla finanza speculativa.

Batman e la sua nemesi sono entrambi figure del capitale, ma declinati rispettivamente in un’accezione positiva e negativa, in quanto appartenenti a due modelli capitalistici diversi.

Piccola divagazione milanese: il primo mazzo di tarocchi conosciuto è il mazzo di Filippo Maria Visconti, Duca di Milano dal 1392 al 1447. In quel periodo, soprattutto in Italia, si affacciava per la prima volta un’alta borghesia finanziaria che avrebbe avuto un peso considerevole nella storia politica rinascimentale italiana e non:  basti pensare alla famiglia Medici. Titolari dell’omonimo “Banco dei Medici”, con filiali in tutta Europa, erano una delle più potenti  famiglie europee di banchieri, paragonabili forse per ricchezza e potere agli attuali Rotschild. Oggi, proprio a Piazza Affari, sede della Borsa italiana, campeggia una scultura dell’artista italiano Maurizio Cattelan.

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Il fuck off di Cattelan ha un precedente che forse può aiutare a spiegare la natura di questa installazione.
Qualche anno fa l’artista partecipò a una collettiva presso il Centre Pompidou con una performance per interposta persona: pagò un giullare ambulante perché si esibisse durante la mostra e importunasse i visitatori con  doppi sensi e battute a sfondo sessuale. I gestacci si sprecavano e i visitatori erano divertiti da questo saltimbanco travestito da mostro deforme che dispensava fuck you a destra e a manca cercando di montarsi qualunque cosa si muovesse.

Il matto quindi, con il suo comportamento libero e anticonformista rappresenterebbe l’artista, l’unico che può prendersi gioco del re e avere salva la testa. Eppure se torniamo alla scultura milanese qualcosa non torna: il dito medio è rivolto verso lo spettatore. L’autore del gesto forse oggi abita a palazzo? Ma allora Cattelan, responsabile di questa provocazione, non intende chiamare il pubblico a una ribellione contro i criminali che lavorano lì dentro, piuttosto si identifica con loro.

Molti sono i critici che hanno sottolineato come le modalità di affermazione degli artisti e delle loro opere richiamino oggi le leggi che governano il capitalismo, piuttosto che contrastarle: l’arte è un’ipermerce, che fonda il predominio assoluto del valore di scambio sul valore d’uso: non ha alcuna utilità reale e il suo valore non corrisponde in nessun modo alla quantità di lavoro o al prezzo dei materiali usati per produrlo. Andy Warhol disse che l’artista non è altro che un disgraziato che deve cercare di convincere la gente a comprare cose di cui non ha veramente bisogno, manco  fosse un piazzista di pentole, un Berlusconi qualunque.

A tal proposito Boris Battaglia scrive [2] che il fumetto (ma ciò che dice si può estendere all’arte in generale) è “la merce che si racconta attraverso la merce” (valida per qualsiasi forma d’arte in economia di mercato). Il mondo delle merci come unica realtà: senza dubbio la migliore definizione del postmodernismo che io abbia mai letto.

Oggi le modalità attraverso cui un artista o un’opera d’arte acquistano valore sono slegate da qualsivoglia canone di ordine estetico. Non è il bello a generare valore: piuttosto assistiamo all’interno del sistema dell’arte all’adozione di modalità e strategie che appartengono interamente alla finanza speculativa. Forse non è un caso che il più ricco (e famoso) artista americano vivente, Jeff Koons, da noi conosciuto per essere stato sposato con la pornostar ed ex parlamentare Cicciolina, sia un ex broker di Wall Street. Gli artisti oggi si identificano con la borghesia finanziaria e il popolo che non capisce non si meravigli: nessuno lo ha invitato alla festa.  

È opportuno ricordare a questo punto la scena centrale del primo Batman di Tim Burton, che approfondisce molto bene la natura del personaggio. Nel prologo il Joker è allo specchio e si sta truccando come un attore prima dello spettacolo; si volta verso la sua amante, che ha completamente sfigurato per farne un’opera d’arte vivente e, alla richiesta di dove stia andando, le risponde:

daddy is going to make some art, darling”.

Dopodiché si reca al museo della città e mette in scena una performance iconoclasta. Terminato lo spettacolo si siede al tavolo della giornalista Vicki Vale, con la quale ha uno scambio di battute illuminante:

JOKER: creo l’arte, finché qualcuno non muore. Sono il primo grande artista omicida del mondo.

VICKI VALE: che cosa vuole?

JOKER: la mia faccia sul biglietto da un dollaro.

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Se ho divagato così a lungo e su questioni così apparentemente insignificanti (l’arte? Figuriamoci!) è stato per cercare di spiegare almeno parte del fascino ambiguo che il Joker esercita sul pubblico e la sua natura duplice di villain carismatico. Da una parte metafora dell’artista anarchico, che si ribella alle convenzioni sociali in nome di una libertà assoluta che non ammette regole; dall’altra espressione proprio per questo di un modello economico predatorio e ultra-liberista che il moralista Batman non può fare a meno di combattere.
Nella città ideale di Gotham City (solo apparentemente distopica) a quanto pare il valore di scambio non ha ancora rimpiazzato completamente il valore d’uso.

 

 


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