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Batman: i Capolavori anni ’80 – seconda puntata

Creato il 23 ottobre 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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Nel 2012, insieme ad alcuni amici, organizzammo una serie di incontri a tema fumettistico. Ci si riuniva in una bella libreria di Benevento, la Luidig, e volta per volta si presentava un personaggio, un autore o una casa editrice. Il primo incontro toccò a me e decidemmo di parlare di Batman. Questi articoli nascono da quell’esperienza.

Nell’articolo precedente (link) abbiamo visto come Frank Miller, prima da solo e poi supportato da David Mazzuchelli, usasse il layout delle pagine per raccontare le sue storie.

Oggi vedremo due esempi tratti da storie che usano il mezzo fumetto con modalità completamente diverse: Arkham Asylum The Killing Joke. Entrambe le storie sono scritte da due pezzi da novanta del fumetto anglosassone, Alan Moore Grant Morrison, due autori che si sono sempre un po’ odiati l’un l’altro, diversi in tutto, dal look alle opinioni politiche.

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Partiamo da Morrison e da Arkham Asylum, la graphic novel che vede il cavaliere mascherato entrare nel manicomio di Gotham City per salvare un gruppo di dottori presi in ostaggio dal Joker e dagli altri detenuti. Proprio uno dei dottori è l’avversario di Batman in una delle scene più celebri di questo fumetto. Joker costringe Batman a farsi psicoanalizzare e la dottoressa Ruth Adams lo sottopone ad un test di associazione delle parole.

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Gran parte della potenza di queste pagine si deve sicuramente al lavoro di Dave McKean, un misto di dipinti e collage che rende benissimo il senso di incertezza e rottura della storia. Le tavole della psicoanalisi di Batman sono racchiuse in solo due pagine, ma i quadri sono densi di dettagli e vale la pena osservarli con attenzione. L’idea che Morrison aveva di questa scena era molto più classica, come si può scoprire andando a vedere i layout che lo scrittore allegò alla sua sceneggiatura. Morrison aveva immaginato lo scontro Batman – Psichiatra con un classico campo e controcampo racchiuso in una gabbia regolare. Per fortuna McKean ci mise del suo e creò queste due pagine in cui, la prima cosa che fece scomparire fu proprio la gabbia statica.

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Le poche vignette che ci mostrano i volti di Batman e della dottoressa sono appoggiate su un immenso quadro che si estende per tutte e due le pagine. I dialoghi scritti da Morrison sono piccoli baloon bianchi e neri che quasi scompaiono in questo tripudio di colori e immagini. Non c’è più spazio bianco tra le vignette, il campo e controcampo è ancora presente, c’è il botta e risposta, ma è tutto più sfumato e liquido rispetto alla scena pensata da Morrison.

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McKean rappresenta la crisi di Batman (per inciso, notiamo che questa è una storia su Batman e non su Bruce Wayne), attraverso lo sgretolarsi dei flussi di lettura. Provate a “leggere” le due tavole, non ritroverete nessuna sequenza prestabilita. Queste pagine vanno viste nella loro totalità, non c’è quella sequenzialità che tanto piaceva a Will Eisner e che Frank Miller aveva interpretato alla grande nelle storie che abbiamo analizzato nell’articolo precedente.

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Qui ci sono almeno due flussi di storia, il botta e risposta rappresentato dai disegni racchiusi nei rettangoli e poi c’è il percorso nella psiche di Batman, un flusso di coscienza che viaggia in parallelo seguendo percorsi non lineari. Il primo ci mostra cosa sta accadendo nel presente, il dialogo, mentre il secondo ci guida attraverso il tempo passato rivisto attraverso la psiche contorta di Batman.

Passiamo adesso a The Killing Joke di Alan Moore Brian Bolland.

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Opera celeberrima, nata quando l’editor della DC Len Wein chiese a Bolland su che storia avrebbe voluto lavorare. Il disegnatore inglese, che si era fatto apprezzare per le sue splendide copertine, rispose con tre nomi, il suo scrittore preferito, l’eroe e il supervillain su cui avrebbe voluto lavorare: Alan Moore, Batman, Joker. Moore in quel periodo era già in rotta con la DC, ma continuò a lavorare sulla storia come favore personale a Bolland.
Di questo storia analizzeremo nel dettaglio la scena iniziale, composta da quattro tavole. Anche questa scena è ambientata nel manicomio di Gotham City, ma come vedremo lo stile e la forma sono completamente diversi da quelli di Morrison e McKean.

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Si parte con due pagine perfettamente divise, tre strisce di tre vignette, tutte uguali. Non c’è alcun testo, non ci sono dialoghi scritti e non ci sono onomatopee, ma la scena è tutt’altro che silenziosa. Ci sono rumori e dialoghi che riusciamo quasi ad ascoltare. C’è il ticchettio delle gocce di pioggia che cadono e c’è la batmobile che frena. E poi c’è il passo fermo, duro e incessante di Batman, una marcia che inizia al centro della prima pagina e continua inesorabile. Si riesce quasi a sentire il rumore dei passi che attraversano il silenzio del manicomio. Il ritmo costante è incessante, ottenuto anche grazie ai continui cambi di punti di vista che spezzano il flusso dell’azione. Prendete ad esempio le ultime tre vignette della pagina di destra, nella prima vediamo il poliziotto di fronte, poi ripreso dalla sua destra e infine dalla sua sinistra, in un montaggio che trasforma ogni vignetta in un istante separato dagli altri. Ci sono solo tre eccezioni a questi cambi improvvisi, tre piccoli zoom che sottolineano tre dettagli importanti: le prime tre vignette con la pioggia e la batmobile, le ultime due della pagina di destra con lo zoom sull’espressione del poliziotto e lo zoom della pagina di destra sul volto di Due Facce.

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Si gira la pagina e l’azione rallenta di colpo. Batman entra lentamente nella cella, un movimento tanto lento da richiedere tutta la pagina, con una vignetta che copre i due terzi della tavola, un fermo immagine che ci aiuta anche a visualizzare lo spazio in cui si svolgerà il dialogo della pagina di destra. A sottolineare il ritmo rallentato di questa pagina ci sono anche le due vignette in cui Joker posa il due di picche sul tavolo, un movimento breve che però viene raccontato con due vignette. Il passaggio dal ritmo forsennato delle prime due pagine alla lentezza di questa è impressionante: qui ci sono silenzio, calma e attesa là dove prima c’erano velocità e rumore.

Nella pagina di destra appaiono i primi balloon. Il primo è di una banalità disarmante: dopo tutta questa cavalcata, Batman non trova di meglio che esordire con un “Hello”. Poi la camera inizia a girare attorno ai due, prima con due vignette in campo-controcampo e poi muovendosi attorno al tavolo, con quella vignetta centrale che li riprende da fuori la cella, entrambi prigionieri e separati da una sbarra. La pagina si chiude con la scoperta da parte di Batman che qualcosa non va in questo Joker che ha di fronte. Girata la pagina la storia ripartirà e incontreremo il vero Joker.

Alla fine di quella serata (che diede poi vita agli eventi che portarono alla creazione dell’associazione BN.Comix), un mio caro amico, Nicola Sguera, che con me aveva organizzato l’evento, disse che secondo lui il fumetto era stato uno dei pochi strumenti mitopeietici del ‘900. Queste storie, fatte le dovute proporzioni, sono l’Iliade e l’Odissea di Batman, un personaggio mitologico nato nel ‘900, ma che, come ogni mito che si rispetti, sopravvive e si rinnova ogni giorno.


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