2000, Kinji Fukasaku.
In Oriente, in un mondo in forte disagio con gli adolescenti, viene istituito per legge un "gioco" al quale vengono fatti partecipare, in modo coatto, dei ragazzi apparentemente scelti a sorte. Gioco per modo di dire.
Su un'isola disabitata, completamente isolata dal resto del mondo, i ragazzi apprenderanno da una specie di istruttore e da un video le semplici regole del gioco che si chiama appunto Battle Royale. Nell'arco di 3 giorni uno solo di loro dovrà sopravvivere, non due o tre ma solo uno, e si salverà potendo poi tornare al mondo civile, altri premi non sono previsti. Ad ognuno viene fornito uno zaino con cibo, robe varie e un'arma, casuale: c'è chi riceve una pistola ma anche chi un coperchio di pentola. Essenzialmente regole non ce ne sono tranne evitare di fuggire, pena l'esplosione di un collare che è stato fatto indossare ad ognuno di loro (cosa che ricorda il recentemente visto "The Running Man").
I ragazzi si conoscono tra di loro per trascorsi scolastici. Molti conoscono anche il cinico istruttore Kitano (che poi è proprio il mitico Takeshi Kitano, tra i top al mondo quando si tratta d'interpretare ruoli del genere). Immaginabile quindi l'incredibile situazione in cui si trovano buttati casualmente per l'isola in un tutti-contro-tutti implacabile. Per amicizie, affinità, alcuni tra di loro si uniranno in gruppetti pur sapendo che tutti non potranno salvarsi ed alla fine nel migliore dei casi dovranno uccidersi tra di loro. La ferrea organizzazione che c'è poi, intorno a tutto il gioco, col dispiegamento di mezzi e militari, aumenta ulteriormente il tasso d'angoscia di una situazione che già di per sé è terribile. Poi c'è quel maledetto collare...
Fino a quale punto un giovane riesce a seguire il proprio idealismo?
Le varie personalità dei protagonisti le vedremo illustrate da flashback sulla loro vita. Da questo punto di vista è un modo classico di esporre, terribile invece tutta l'esposizione degli eventi a partire dall'arrivo sull'isola con quella allucinante riunione al cospetto di Kitano. Talmente violento che in Giappone, paese certo abituato a ben altre cose che il nostro, il film causò persino interrogazioni parlamentari! Anche in altri paesi ci furono problemi e fu fatto uscire con pesanti censure. Non è semplicemente la violenza delle scene a mio parere ad aver procurato angoscia a censori e governanti, bensì il contesto della violenza Adulti vs Giovani a procurare sgomento e a me ne ha procurato, da adulto ormai. Una metafora estremamente spinta di un "conflitto sociale" da sempre esistito e che la modernizzazione sta portando a conseguenze sempre più estreme.
Forse oggi si dovrebbe parlare di tecnology-divide, una divisione non geografica ma tecnico-culturale difficilissima da colmare. Cosa c'entra questa riflessione col film? Non lo so, me l'ha ispirata, spontaneamente pur non parlandone, perché è una visione limite e provocatoria e torno alla prima domanda, cioè: fino a che punto si riesce a dare priorità ai propri ideali rispetto alle necessità di sopravvivenza? e aggiungendone un'altra di domanda: fino a che punto la volontà degli adulti di dominare le variabili sociali, tra le quali i giovani sono una di quelle meno prevedibili, si può spingere?
Olimpo ovviamente, film straordinario sotto tutti gli aspetti!
Ho parlato soprattutto di contenuti, sulle strepitose qualità filmiche, senza le quali i contenuti arriverebbero ugualmente ma con scarso effetto, lascio immaginare con qualche frame.
p.s.
Per chiarezza, siccome ne esistono diverse versioni, informo che ho visto la "versione cinematografica" con sottotitoli in inglese "unofficial". E' comunque disponibile anche una versione coi sub in italiano.