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Beasts of No Nation di Cary Fukunaga: la recensione

Creato il 13 settembre 2015 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

“La guerra è una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai”. Così chiosa Ermanno Olmi nel suo ultimo film, Torneranno i prati. La guerra come una bestia famelica e indiavolata senza nazione, senza patria, che tutto divora.

beasts-of-no-nationNoto al grande pubblico per aver diretto la serie tv True Detective, Cary Fukunaga porta a Venezia 72 Beasts of No Nation, un film coraggioso, che in ambientazione e colori ricorda il suo bell’esordio, Sin Nombre. Nell’Africa Occidentale in preda alla guerra civile, il piccolo Agu, dover aver assistito alla morte del padre e del fratello, rimasto solo al mondo, viene preso sotto l’ala protettiva di un manipolo di guerriglieri capitanati dal temuto e rispettato Comandante, interpretato da Idris Elba. Agu è così costretto ad abbandonare con largo anticipo gli anni dell’infanzia e a trasformarsi ante tempore in uomo adulto. Da bambino a bambino soldato, da chi gioca a fare la guerra a chi invece la guerra la fa (e subisce) realmente.

true-detective
Fukunaga dirige con polso fermo una storia che coinvolge, spaventa, emoziona. La guerra tramite gli occhi dei bambini è un classico, ha sempre funzionato. Ma Agu è allo stesso tempo vittima e carnefice di una guerra che spazza via tutto, in primis la spensieratezza di una gioventù agli albori.

Dopo una prima parte bellissima e convincente, Beasts of No Nation però perde qualcosa nella seconda, ovvero nel momento in cui si discosta dal punto di vista di Agu, dedicandosi a fili narrativi che palesano alcune lacune, pur piccole, della sceneggiatura. Imperfezioni che però non minano il risultato finale di Beasts of No Nation, ossia l’essere un film potente che ha l’audacia di guardare dritti in faccia due temi tra i più delicati: l’Africa in guerra e la piaga dei bambini soldato.

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