Sociologicamente non so quanto sia valida l’analisi degli alberi di Natale per l’individuazione delle caratteristiche dei microambienti sociali presi in considerazione per lo studio seguente. In altre parole, chi studia chi fa gli alberi di Natale e come li fa vi vuol fregare e pure di brutto.
Innanzitutto il discorso parte parzialmente e muore addirittura scorrettamente. Chi fa l’albero di Natale lo fa perché se lo può permettere, sia per il tempo, sia per le risorse. Secondo, perché effettivamente appartiene o vuole aspirare ad identificarsi con un’area.
Il significato etnologico del ‘fare l’albero di Natale’ è stato svuotato, anzi riempito con qualsiasi cosa. Comprese le palle di Natale con le immagini di Justin Bieber che non fanno altro che ricordarti di comprare il suo ultimo cd sotto le feste alla modica cifra di 20€.
La vera analisi, quella succosa, pastosa, che ti fa girare gli occhi, che ti fa domandare del perché e del come è cosa ci ficchi sull’albero di Natale. Non tanto la dimensione di per sé, ma come dimostri che sei un grande con diecimilioni di palle così. (nb: politically incorrect)
Presupposto dicotomico è la divisione tra sobrietà e rococò. La sobrietà può essere indice di molte declinazioni: tuo figlio ha rotto tutte le lucette dell’anno scorso; un casino con il cortocircuito e non comprerò più fili elettrici; effettivamente non ho tempo; il Natale per me indica un momento di raccoglimento; siamo una famiglia dalle poche pretese; sono un fan di IKEA. Ovviamente ho detto tutto e niente. La sobrietà può dare scorcio ad una personalità cristallina, oppure superficiale; ti può dire che il nesso tra idea e fenomeno è l’eleganza.
Il rococò è per chi non ha effettivamente idea di come andare avanti con la costruzione. Prende il metodo della serendipità (metodo a-scientifico), sperando che a conti fatti, a lavoro ultimato, un risultato ci sarà, seppur casuale. Un abete grondante un po’ nasconde che c’è sotto. Che è un falso abete. Tutto va bene. Ecco il punto: chi è rococò ti dice che l’arte sta un po’ dappertutto e che , anche se non è vero, va di moda fare gli artisti.
L’albero di Natale è fatto per tradire la psiche. Io, per esempio, ho deciso di non farlo più. Eliminato. Sta 365 giorni l’anno messo in belle scatole, tutte classificate, senza via di uscita. Rimani lì, non ti farò uscire nemmeno quelle due settimane di innaturale vita. D’altronde non devo colpire nessun ospite. Il punto è però un altro: la pigrizia è nemica. Ti fa chiudere baracca.
Gli alberi creati sono un prodotto della cultura e, parlando da marxisti, è una dei tanti feticci delle sovrastrutture che ci portiamo dietro. Oppure, platonicamente parlando, è la copia imperfetta dell’idea perfetta di Albero di Natale. Ancora, potrebbe essere, per Hegel, solo la prima parte della manifestazione dell’Idea che, poiché la Storia era finita con Napoleone, se ne deduce che l’albero di Natale di Napoleone sarebbe stato perfetto. Sempre che ne avesse avuto uno. Per un ecologista, gli alberi di Natale non dovrebbero esistere a patto che siano 1. Riciclabili 2. Ecosostenibili 3. Magari ti catturano anche energia solare. Per un liberale l’albero di Natale è l’equilibrio tra domanda e offerta. Ogni famiglia se lo compra come le pare perché lo Stato non ha materia in legislazione. Per i conservatori, l’albero è simbolo della famiglia e della gerarchia piramidale connaturata alla società; ha quelle palle antiche attaccate lì a dare il loro magistero.
Insomma, ragazzi, avete capito che potete fare l’albero di Natale davvero come volete, basta un po’ di fantasia! Alla prossima con il prossimo Scart Attack! (liberamente tratto da una puntata a caso di Art Attack)
Buon Natale!
PS : dal titolo : …perché ancora vivono in casa.