Petrini Giuseppe Antonio, Allegory of Autumn
Così è l'autunno.
Una stagione ambigua e difficile, per me. Che porta in sé sia le tracce sfogoranti dell'estate che stenta a morire, sia gli anticipi di un inverno che non vorremmo mai arrivare a vedere.
Sole tiepido, talvolta persino caldo, lascia il passo a piogge insistenti, foglie morte e tutto il corredo dei primi freddi: raffreddori e tosse insistente inclusi.
Si ripiegano i bianchi abiti estivi, si iniziano ad apprezzare colori caldi e bruni, non a caso detti "autunnali".
Per me è quindi quasi naturale ambientare in una stagione così, in un momento preciso anche della mia vita, un post dedicato, contemporaneamente, a 3 cose belle e 3 cose brutte.
Un po' per non abbandonare temi che ci hanno tenuto compagnia per tutta l'estate (e felicemente), un po' perché io mi sento esattamente così: sospesa.
Non so se mi paice quello che sto vivendo, non so se non mi piace.
Non so verso quale direzione puntare, con grandi aspettative che temo, davati, e grandi ricordi che vorrei far rivivere, dietro le spalle.
E quindi:
1. il ritorno negli Stati Uniti. è decisamente una cosa bella. La cupola magnifica di Capitol Hill che spicca contro la quinta ancora verde di alberi che non si decidono ad ingiallire, pare quasi l'epitome di questa società mai sazia del proprio essere nuova e giovane.
2. Ma gli USA, e Washington DC, in particolare, stanno vivendo questa esperienza amara e difficile dello "shut down", la chiusura obbligata di tutti gli uffici federali per la mancata approvazione del budget statale da parte del Congresso.
Il tutto si traduce in una città spettrale, con i grandi edifici neoclassici e bianchi sbarrati, fantasmi muti. Strade e metropolitane quasi vuote, il mall vuoto, niente turismo, niente carovane scolastiche arrampicate sulle memorie patri.
Una cosa brutta, dunque, una contraddizione sociale e storica. Come la stagione atmopsferica e la stagione della vita.
3. Fare la valigia grande: divertirsi a scegliere abbinamenti ed accessori, scrivere quasi un prontuario di cosa indossare dove e quando e come. Eì una cosa bella, un piacere, per una volta: pochi giorni, ma rilassati, dedicati quasi a propormi e proporre una me nuova e rinnovata: perché no? Divertirsi ad ascoltare domande e a rispondere sempre no, no, no. No: non c'è niente di nuovo: no: non ho cambiato vita; no: non sto meglio, sono sempre la stessa, sotto le stesse minacce. Ma sono, forse, nuova dentro. Una speranza ed un progetto mi danno una nuova carica.
4. E mettere in valigia, anzi, trascinarsi nella borsa, il pc. Ancora. Ma che rabbia: non riesco MAI a concludere un lavoro in anticipo, devo continuare a scrivere e studiare e produrre anche nelle ore di viaggio, nelle notti insonni, durante le conferenze noiose. Il peso fisico e il peso psicologico. Sempre sul filo del rasoio.
5. Scoprire che nel frattempo il mio inglese non è arrugginito, nemmeno immerso nel mare di Sicilia, nemmeno sommerso dal caldo e dal calore della madrepatria. Un'ora e lo riscopri, un'ora e riprendi quota, un'ora e sei a casa e sorridi e parli col taxista appena immigrato e scherzi con i colleghi, un'ora e ritrovi le battute e i modi di dire.
6.Un'ora, sì. Ma 6 ore, in realtà. Perché nonostante tutto, nonostante l'abitudine e la sicurezza, il jet lag si abbatte impietoso su di me, questa volta. Sveglia sveglissima alle 3 di notte; poi alle 4; poi alle 5. Fai una doccia, poi un'altra, poi alla terza ti lavi anche i capelli e vorresti immergerti e sparire nel vapore. Quando il jet lag mi assale ho solo voglia di acqua, non so perché. Bere, immergersi, annullarsi.
Difficili queste notti.
E il pensiero che fra poco si torna a casa e la maledizione, verosimilmente, ricomincia, non è consolante, proprio per niente.