Magazine Cinema
Un’opera prima che porta la firma di Jang Chul-soo, regista classe ’74 e già assistente del maestro Kim Ki-duk ne La samaritana (2004).
Presentato a Cannes dello scorso anno, Bedevilled (2010) contiene molto – se non tutto – di quello che questo paese ci ha donato negli ultimi anni per quanto riguarda la settima arte.
Analizzando la trama risalta incisivamente la scelta di Jang, che conscio delle pellicole precedenti dei suoi connazionali, schiaccia l’acceleratore su una serie di ingiustizie, soprusi e malvagità da far impallidire anche un navigato fruitore del cinema made in Korea. Ma prima di fare questo il regista tesse abilmente una tela dai larghi confini che parte in un contesto urbano, Seul, nel quale predomina la violenza, e la violenza porta paura che a sua volta porta omertà. L’omertà è la benzina di questo film, ricordatevelo.
Posti questi paletti, la vacanza relax nell’isola di origine da parte della protagonista Hae-won poteva apparire come il classico staccare la spina da parte di una stressata donna di città. Ovviamente non sarà così poiché all’interno dell’isola vive una piccola comunità che in quanto ad inumanità non ha niente da invidiare alle bassezze metropolitane, anzi.
Racchiuso in due estremi così cari al cinema sudcoreano (lirismo & violenza, e qui il buon vecchio Kim è la fonte a cui abbeverarsi), il film decolla con il progressivo scoprimento della realtà isolana. Una realtà in cui l’eccesso è la regola, e nonostante suoni a tratti “impossibile” non è praticamente mai necessario far ricorso alla sospensione dell’incredulità. L’atmosfera realisticamente magica annovera un vecchio che mastica continuamente erba, un padre-non-padre che fa sesso con una prostituta a due passi dalla moglie e sul quale aleggia l’aria greve della pedofilia, la suddetta moglie che viene scopata da un commilitone del marito, la “zia” dell’isola che assomiglia più ad un despota che ad una contadina. L’eccesso è quindi di casa, ma fortunatamente non diventa mai di cattivo gusto, tanto che dopo il climax dell’infanticidio, inizia a concretizzarsi uno spostamento concettuale dell’opera che denuncia e riprende l’omertà iniziale (la panoramica con tutti gli abitanti dell’isola che coprono l’assassino di fronte al poliziotto è magistrale) per poi dare spazio a quel risentimento ormai vero e proprio habitué nel cinema orientale: la vendetta.
Ma prima di sbuffare sulla riproposizione di questa tematica, sappiate che l’utilizzo della vendetta da parte di Jang Chul-soo non è per niente gratuito, piuttosto si palesa come per poche altre pellicole del genere una naturale reazione all’immane torto subito dalla povera Bok-nam che si unisce ai tanti piccoli soprusi quotidiani mostrati e non mostrati nella storia.
Merito dunque dell’impalcatura narrativa che dipinge diabolicamente uno stuolo di esseri umani rientranti a fatica nella categoria, e tutta la loro malvagità non può che essere compensata da una violenza perlomeno equipollente.
Va da sé che dopo la splendida scena del sole, un’illuminazione, l’atto vendicativo trova completezza in una regia che asseconda la rabbia di Bok-nam. La quale da vera martire stile Dae-su di Oldboy (2003) risorge tra sangue e ferite che immortalano primi piani di sofferenza capaci di screpolare lo schermo. La rabbia è cieca, mentre l’occhio cinematografico ci vede benissimo e regala sequenze da urlo a nastro: decapitazioni e coltellate riprese con poderosa vigoria estetica, uso di armi non convenzionali (un flauto) come è quasi da tradizione, impeto iracondo, fino all’ultima inquadratura che non redime Hae-won ma appesantisce ancora di più la sua colpa.
Se con I Saw the Devil (2010) affermavo che si poteva essere giunti al canto del cigno di una realtà artistica spropositata, Bedevilled rimette in discussione tutto. Anche se la convinzione, e forse la speranza, è che da quelle parti non hanno mai smesso di fare ottimo cinema.
Divagazione.
Ad un certo punto si sentono le contadine dell’isola intonare un canto in cui viene ripetuta più volte la parola “arirang”. Non so quanto possa azzeccarci, ma il nuovo film-documentario di Kim Ki-duk si chiama proprio così: Arirang (2011).
Possono interessarti anche questi articoli :
-
Sense8: un pilot magnetico
Che la Netflix fosse specializzata in piccoli capolavori lo sapevamo già (“House of Cards” e “Orange Is The New Black” sono solo pochi esempi della magnifica... Leggere il seguito
Da Cinetvrecensioni
CINEMA, CULTURA, SERIE TV -
A girl at my door ( 2014 )
Young -nam è un giovane ufficiale di polizia che viene trasferito da Seul in un paesino che sembra dimenticato da Dio e dagli uomini in cui vivono solo vecchi... Leggere il seguito
Da Bradipo
CINEMA, CULTURA -
Esperienze.
Sono una persona curiosa, anche e soprattutto quando mi siedo a tavola, e mi piace provare nuovi sapori, accostamenti di gusti insoliti, consistenze... Leggere il seguito
Da Scurapina
CULTURA, DIARIO PERSONALE, SCUOLA -
Cinque blu-ray e tanti contenuti speciali per l’ottava serie di Doctor Who
Whovians di tutta Italia l’attesa è finita ed è arrivato il momento di festeggiare nella giusta maniera, perché DNC Entertainment, da sempre interessata alla... Leggere il seguito
Da Taxi Drivers
CINEMA, CULTURA -
Far East Film Festival 2015
A onta del pregiudizio di portasfiga del numero, la diciassettesima edizione del Far East Film Festival di Udine (aprile-maggio 2015) non poteva andar meglio. Leggere il seguito
Da Giorgioplacereani
CINEMA, CULTURA -
Burri e Pistoia La Collezione Gori e le fotografie di Amendola a cura di Bruno...
Alberto Burri - Grande ferro Celle 1986 - foto Aurelio Amendola © ANSA/Ansa Burri e Pistoia La Collezione Gori e le fotografie di Amendola a cura di Bruno Corà... Leggere il seguito
Da Roberto Milani
ARTE, CULTURA