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Si palesa una tendenza alla preghiera: nelle note del suo diario, nei Lieder scritti sui testi di Gellert, nei suoi canti di speranza, sacrificio e desiderio, e nella «supplica per una pace interna ed esterna» della Missa solemnis. An die Freude è essa stessa una preghiera: che «tutti gli uomini si affratellino» e si riconcilino con il «caro padre» che dimora al di là della volta stellata. Di quando in quando, le preghiere di Beethoven furono esaudite, suscitandone sincere espressioni di ringraziamento. Sugli abbozzi dell’ultimo movimento della Sinfonia Pastorale, scrisse: «Oh Signore, ti ringraziamo» e, in seguito alla guarigione da una malattia quasi fatale avuta nella primavera del 1825, scrisse in un quaderno di conversazione: «Inno di Ringraziamento a Dio di un Infermo durante la sua Convalescenza», parole che, in una forma leggermente variata, si trovano adesso in epigrafe al Molto Adagio del Quartetto per archi in La minore op.132. Gradualmente, con il passare del tempo, Beethoven era diventato forte abbastanza da accantonare la corazza dell’eroica autosufficienza che aveva indebolito, in una certa misura, gli anni della sua maturità. Scoprì una nuova capacità di chiedere aiuto, di pregare, di ringraziare, di mostrarsi debole e persino di accettare temporaneamente la sua dipendenza da una divinità immateriale e inconoscibile. Quartetto per archi in La minore op. 132 1.Assai sostenuto - Allegro 2.Allegro ma non tanto 3.Molto Adagio - Andante - Heiliger Dankgesang eines Genesenen an die Gottheit, in der lydischen Tonart. Molto adagio - Neue Kraft fühlend. Andante - Molto adagio - Andante - Molto adagio. Mit innigster Empfindung 4.Alla Marcia, assai vivace (attacca) 5.Allegro appassionato - Presto Indubbiamente negli ultimi suoi Quartetti il genio di Beethoven si manifesta con la sua maniera più nuova e completa. Il Quartetto in questione è del 1826 e fu dedicato al Principe Galizin. La copia autografa presentata dall’autore a Principe porta la seguente indicazione: "Canzone di ringraziamento in modo lirico offerta alla Divinità da un guarito". Esso infatti fu composto subito dopo la malattia che tormentò Beethoven nell’estate del 1825. Da tutta l’opera si diffonde un sentimento religioso e di dolce e figliale riconoscenza. Un breve motivo di quattro note, l’introduzione, è come la chiave di questa di questa magnifica composizione. Suggestiva è pure la seconda idea composta di tre frasi, delle quali l’ultima risulta costituita dall’unione del ritmo del tema iniziale alle armonie che hanno sostenuto il motivo dell’introduzione.Il punto focale arriva con il vero canto di ringraziamento a DIO, parte alla quale le risorse dello stile polifonico hanno infuso un andamento solenne. Si nota subito il profondo studio compiuto dall’autore delle melodie liturgiche del Palestrina. L’inno è esposto in 5 periodi separati da intermezzi strumentali, poi viene un episodio in cui si sente come il malato riprende le forze; segue una seconda esposizione dell’inno, ma in modo lineare; però attorno a questa linea il tema orchestrale, prima rigido e schematico, si movimenta e si commuove. Dopo un nuovo episodio , l’inno canta nuovamente ma in modo frammentario, lasciando tutto l’interesse al tema strumentale che l’autore indica con la didascalia: "con intimissimo sentimento". Questo è il tema che diventa vero e proprio cantico dell’animo riconoscente, mentre la melodia dell’inno s’innalza alle alte sfere, melodia divina. Beethoven ebbe a confessare, con lucida consapevolezza: “Lo so. E’ una delle opere più degne del mio nome”. Il modo lidio corrisponde ad una scala ascendente con base fa. Non è però la scala di fa maggiore perché c’è il si naturale invece del si bemolle. La conseguenza è una continua oscillazione tra il do maggiore ed il fa maggiore. La famosa Canzona occupa, in ogni senso, il posto centrale del quartetto ed è sempre stata giustamente considerata come una delle espressioni più personali e più visionarie di tutta la musica beethoveniana, anche se, in realtà, essa deve paradossalmente il suo carattere così intimamente soggettivo ad una sorta di trasumanata sublimazione del materiale musicale, divenuto ancora più neutro ed anonimo per il suo sconfinamento dall’ambito della tonalità in quello della modalità. Anche nel Quartetto é il luminoso, vitale ottimistico re maggiore a zampillare, con il lungo trillo del primo violino ("Sentendo nuova forza", annota a questo punto Beethoven) dopo l’opaco dilagare della pigra melopea gregoriana. Il nuovo episodio, un Andante con funzioni quasi di trio, alterna le sue espressioni gioiose e danzanti con la duplice ripresa della "preghiera" in modo lidico, sul cui tema nudo, trattato da Beethoven come cantus firmus o corale, sboccia di volta in volta una prodigiosa fioritura di variazioni. Certo Beethoven non avrebbe mai immaginato a quale incontrollabile fioritura di arbitrarie interpretazione avrebbe dato la stura la sua commovente dedica a cominciare da quella dell’illustre musicologo Marx il quale cercò di adattare anche al primo tempo un programma da camera d’ospedale”, ipotizzando che le lente battute iniziali rappresentassero un Beethoven stiracchiantesi inquieto ed interpretando i cambiamenti di tempo e di stato d’animo come esplosioni di malessere fisico! Questo quartetto appartiene al cosiddetto “terzo stile” di Beethoven. Il primo è quello della giovinezza. Il secondo è quello della progressiva affermazione del musicista eroico e “titanico” (pensate ai quattro “do” iniziali della celeberrima Sinfonia n. 5). Il terzo stile, al quale appartengono appunto gli ultimi quartetti, i più stupefacenti (tra i quali l’Op. 132), è quello dell’approdo a una visione superiore dell’esistenza, tipica di chi raggiunge la gioia e la saggezza. Un periodo di vita che per Beethoven va dal 1816 al 1827, l’anno della morte. Si tratta di opere fortemente trascendentali, con una tessitura armonica che induce a profonde meditazioni e introspezioni. È una musica, come spesso dice Benigni a proposito dei versi di Dante, di una “bellezza scandalosa”. E lo scandalo è appunto la (apparente) semplicità dell’arte che arriva direttamente al cuore di chi ascolta, con un’intensità prodigiosa, considerando che questa musica ha ormai 185 anni! Dunque, sul tema nudo e semplice, quasi in stile sacro della preghiera, sboccia all’improvviso un fiorire di variazioni. Un materiale sonoro denso di pensieri e stati d’animo, che assumono forza, colore e intensità attraverso accordi meravigliosamente ricchi dal punto di vista armonico. Il consiglio è di lasciarsi trasportare da questa preghiera in musica. La “Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito” non è certo una pagina di ascolto leggero, sorretta da melodie precise, individuabili, facilmente cantabili. Occorre lasciarsi cullare dal fluire delle impressioni musicali, senza la pretesa di trovarvi un’idea musicale immediatamente riconoscibile, sforzandosi d’immaginare Ludwig Van Beethoven alle prese con i postumi di una malattia, affaticato, ma con nuove energie capaci di sorreggerlo nel fissare sul rigo musicale la felicità d’essere sulla via della guarigione. Per capire questo movimento di quartetto proviamo a concentrarci sulla particolare esperienza di ciascuno di noi, anche soltanto alle prese con una brutta influenza. Passano giorni nei quali siamo come impotenti di fronte al fluire della vita: febbre alta, spossatezza, inappetenza, quasi totalmente privi di forze, in balia di medicinali o potenti antibiotici (all’epoca di Beethoven non esistevano) che non hanno quasi mai un effetto immediato. Poi, finalmente, tornano le energie, si avverte nel proprio organismo una sensazione nuova, una voglia di vivere che riemerge in superficie, una sorta di primavera del corpo che ci rimette in moto e si accompagna a una primavera dell’anima, nel senso che riappare il desiderio di muoversi, di fare conversazione, di leggere un libro, di gustare un piatto saporito o un calice di vino. Ecco: è questa impressione, la capacità di tornare a sentire le vibrazioni della vita, unite semplicemente alla voglia di sorridere, che Beethoven ha messo in musica in modo così miracoloso. Per comprendere a fondo questa composizione basta pensare all’esplosione di felicità che ci pervade dopo un periodo di malattia, quando sappiamo che stiamo uscendo da un periodo difficile per ritrovare serenità e ottimismo. Con la “Canzona” Beethoven ha fatto questo: una musica sul filo delle emozioni, quasi a ruota libera, e in questo senso liberatoria, nel senso che esprime la gioia di essersi finalmente allontanati dal dolore. Con in più un pensiero di tipo metafisico, spirituale, dove la “Canzona offerta alla divinità” è anche un’ammissione candida di fede, uno stato di grazia, nel quale il compositore s’incarica di precisare che la composizione non cade nel vuoto, non è fine a se stessa, ma ha un destinatario al quale viene offerta, come una candela accesa, un ex-voto. Una preghiera, insomma. E in questi termini è una musica molto “bachiana”, nel senso che guarda all’Assoluto, eleva la propria guarigione in senso escatologico, ridà speranza e redenzione dalla malattia. Dopo un quarto tempo “Alla marcia, assai vivace”, il Quartetto Op. 35 di Beethoven si prepara all’ultimo tempo, un “Allegro appassionato”, nel quale s’intrecciano temi di canzoni e di danze, in un crescendo che da alcuni musicologici è stato definito euforico, “dionisiaco”. È la testimonianza finale di un malato che guarda al futuro con fiducia, con determinazione e slancio vitale. E se lo desiderate l’Allegro appassionato, quinto movimento dell’Op. 35 di Ludwig van Beethoven, nell’interpretazione storica del Quartetto Italiano, è anch’esso recuperabile su YouTube (oltre che in un buon negozio di dischi o sulla libreria digitale di iTunes). Solo musica, niente immagini reali del concerto. Ma chiudete gli occhi, non serve altro. Buon ascolto...
FONTI: “Su Beethoven – Musica Mito Psicoanalisi Utopia” di Maynard Solomon www.andreadiletti.it
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