Mai avrei pensato di dire ciò che sto per dire ma The Satanist è uno dei dischi dell’anno, punto. È strano che sia io a scriverlo perché non mi sono mai interessato granché alla band polacca, colpevole, a mio parere, di essersi adagiata sul trono di gruppo per adolescenti che hanno appena scoperto il metal estremo e che provano piacere sessuale al solo sentir pronunciare le parole blast beat.
A ben vedere, gli ultimi lavori dei Behemoth confermano questa mia teoria: canzoni sparate a 300 bpm e infarcite di doppio pedale, riff al fulmicotone, blast beat; il tutto senza però centrare davvero il bersaglio, cioè scrivere pezzi ispirati nei quali la velocità d’esecuzione sia al servizio delle idee e non l’idea stessa. Da questo concetto nasce la mia opinione negativa sugli album più recenti (Evangelion su tutti), dischi piatti e privi di mordente dai quali emerge come unico concetto il fatto che Inferno è un batterista con i controcoglioni (esticazzi). Ecco perché, quando Spotify mi consigliò di ascoltare The Satanist, il mio approccio fu dei più scettici, e mai come allora mi resi conto di essermi sbagliato in pieno. Già l’opener Blow Your Trumpets Gabriel basta da sola a spazzare via gli ultimi tre dischi senza tanti complimenti: atmosfera azzeccatissima per il concept, velocità dosata con sapienza alternata a passaggi più cupi nei quali fa capolino un uso magistrale di effetti come canti gregoriani, trombe e tutto quanto sia adatto a tessere le lodi del divin capro. Discorso analogo può esser fatto per i pezzi che spingono molto di più sull’acceleratore come Furor Divinus o la mia preferita, Ora Pro Nobis Lucifer: finalmente un lavoro di chitarre fatto con tutti i crismi del caso, amalgamato alla perfezione con il basso che assume in The Satanist un ruolo assolutamente centrale; a fare da contorno troviamo il solito impeccabile Inferno e un Nergal che ha imparato come dosare growl, scream e tutte le varie tonalità intermedie capaci di dare corpo e varietà ad una canzone. Non ho idea di cosa sia successo ai Behemoth negli ultimi anni (a parte, ovviamente, le sventure di Nergal), fatto sta che pare finalmente che i nostri abbiano imparato come comporre un disco di black/death metal fatto a modino, invece di semplici collage di sfuriate in doppia cassa adatti solo ad un pubblico musicalmente ancora “acerbo”. Speriamo solo che sia l’inizio di un percorso lungo e fruttuoso e non una semplice meteora, il che tradotto vuol dire: speriamo che ‘sto disco venda come merita così che la Nuclear Blast non vada a rompere i coglioni imponendo ai Behemoth di suonare quel che hanno suonato negli ultimi anni: ovvero, metal estremo mediocre e banale.