Da un po' di tempo succede che mi affibbiano una (per me) ancora irrisolta somiglianza con Robert Pattinson. Tutto è iniziato circa tre anni fa, quando un'amica di una mia amica disse che avevo un taglio di capelli che le ricordava "l'attore di Twilight". Me sono fatto una risata di circostanza, l'ho gentilmente mandata a quel posto e sono andato per la mia strada. Poco tempo dopo altre amiche di questa amica ribadiscono la stessa cosa, ma lì vado a pensare a una coalizione. Però succede poi che, con la compagnia di una città diversa, una si infiltra per ribadire che sembro proprio "quello che fa il vampiro che sbrilluccica". E lì allora inizio a preoccuparmi, vado a cercare la tizia su Facebook e, pur non trovando nessun amico in comune, mi convinco che fa tutto parte di un intrigo ai miei danni. La cosa però raggiunge l'apice quando, a una presentazione dei Nativi Digitali a Milano, dove non ho nessun collegamento fra conoscenti, un cliente si fa avanti e chiede l'e-book card dell'autore che "ha scritto il libro dei cosi invisibili, quello che somiglia a Robert Pattinson". Da lì in poi sono seguiti altri esempi, però non ho più tenuto il conto, rassegnandomi a questo magro destino. Che poi contro il buon Robertino non ho proprio nulla ma, seriamente, questa diamine di somiglianza dove cacchio la vedete? E siete sicuri che non somiglio a Hugh Jackman o Fassbender?
Georges Duroy è un reduce della guerra in Algeria, con pochi soldi e poco talento. Quando incontra casualmente il suo ex commilitone Charles Forestier, questi decide di inserirlo nel mondo della buona società e del giornalismo. Georges come giornalista si dimostrerà più che inetto, ma per ben altri talenti lo apprezzeranno le mogli dei facoltosi aristocratici del nuovo mondo in cui è stato inserito...
Credo che Bel Ami di Guy de Maupassant sia uno dei miei classici preferiti, nonché uno dei libri che ho maggiormente amato negli ultimi anni. Con una prosa scorrevole e dei dialoghi bellissimi, in certi punti la vera anima del romanzo, lo scrittore riusciva a mettere alla berlina la società dell'apparire dell'epoca grazie a un personaggio gretto, meschino e profittatore, che pur essendo conscio di essere un perfetto mediocre riusciva a vertere su altre proprie abilità per ottenere il successo. E faceva concludere tutto con un finale spiazzante, non tanto per gli eventi narrati, che non consistevano in nessun colpo di scena particolarmente eclatante, ma per la sensazione che lasciava, quello di un ritratto crudo e spietato di una società che, volenti o nolenti, non sarebbe mai cambiata - e infatti, se leggerlo negli Anni Zero mi ha fatto questo effetto, non oso immaginare la portata che il romanzo ha avuto ai propri tempi. Diventa quindi difficile farne una degna trasposizione, perché si tratta di un qualcosa che sulla carta ha raggiunto un apice difficilmente eguagliabile, parlando di una storia che proprio sulla carta (i giornali su cui troneggiavano gli scritti delle varie mogli sedotte, pubblicate col nome di Duroy) fa vertere il proprio simbolismo. Qui ci provano ben due registi, Declan Donnellan e Nick Ormerod, ma purtroppo il risultato, per quanto buono è affascinante, non è proprio memorabilissimo. Non stiamo parlando di certo di un brutto film, anzi, è sicuramente migliore di almeno tre quarti della media delle pellicole uscite nello stesso anno, ma si limita ad essere 'solamente' un bel film, poiché privo della carica che avrebbe dovuto avere. Non c'è la composta rabbia del romanzo di de Maupassant e il fatto che a dirigerlo sia una coppia di registi si fa sentire, perché non assume una vera e propria identità e si limita a trasporre con una fedeltà fin troppo eccessiva quelli che sono i vari punti salienti del romanzo. Tutto è asservito alla matrice letteraria e, a parte per un paio di soluzioni di montaggio per snellire la parte delle varie avventure amorose di Duroy, di cinematografico ci sono unicamente le basi essenziali, che vengono risolte con una serie di innocui, puliti e rassicuranti campi e controcampi. Si verte sui concetti già magnificamente espressi nel libro, senza però che siano supportati da un'immagine adeguata, lasciando tutto in uno strano limbo. Perché, lo ripeto, il cinema deve comunicare soprattutto con l'immagine, in quanto arte visiva - pensiamo a Barry Lyndon e all'accostamento pittorico svolto da ogni fotogramma. Ma ripeto, il risultato finale è comunque quello di un film onesto, che racconta una storia semplice, senza sbavature e tutto sommato con un ritmo abbastanza sostenuto. Di notevole livello il cast, capitanato da un gruppo di donne che portano egregiamente i loro anni con un'armonia davvero afrodisiaca, soprattutto la mitica Uma Thurman, che ruba la scena a tutti più di una volta. E a differenza della Ricci non si spoglia, segno che quindi è davvero una signora attrice, e infatti la sua parte è l'unica di Nymph()maniac che ho digerito. Ma Robert Pattinson, invece? Beh, smessi i panni del vampiro idolo delle bimbeminkia, anche se per me ha fatto più danni V for vendetta che la saga della Meyer, dimostra di cavarsela come attore e, per quanto i canoni estetici del tempo fossero davvero ben diversi, offre una buona prova di sé. A mio parere infatti Pattinson non è il pessimo attore detto da alcuni, molto banalmente, è un 'semplice attore', uno di quelli che fa bene la sua parte, ma che se non ha il regista giusto alle proprie spalle non riesce a dare quel tocco in più. Se non altro lo rispetto per aver avuto l'azzardo di investire così tanto nella propria carriera, senza sedimentarsi su un genere/personaggio che gli ha dato successo come hanno fatto alcuni (qualcuno ha nominato Johnny Depp?) e investendo anche su un cinema indie che, in parte grazie a lui, è stato conosciuto maggiormente. E poi, se Cronenberg ti chiama a lavorare per lui per ben due volte, non devi essere proprio pessimissimo.
A proposito di Cronenberg... il canadese mi ha appena chiamato. Dice che vuole me e Pattinson per il remake di Inseparabili. Ora sono davvero preoccupato...Voto: ★★★