All’inizio degli Ottanta il Belgio precipita in un periodo molto travagliato, quello dei delitti della banda del Brabante. Al quadro ricostruito nel post precedente si può a questo punto aggiungere un’altra organizzazione, le CCC, le cellule comuniste combattenti, che moltiplicano gli attentati e qualcuno inizia a fare un collegamento con gli assassini folli del Brabante, per quanto gli attacchi ai supermercati non rientrino nell’operatività del terrorismo di estrema sinistra. Ma in qualche caso c’è comunanza di armi. Infiltrazioni? Permeabilità?
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1986 – les tueurs du brabant wallon 1/5 di Etre-immonde
I responsabili del sangue fino a quel momento versato sarebbero cinque persone con qualche precedente penale. Tutti abitano nella zona del Borinage, Vallonia, e nel loro entourage ci sarebbe un ex poliziotto, Michel C..
Contro di lui c’è un revolver trovato, ma la facilità con cui gli indizi si mettono in fila, uno dietro l’altro, convince poco gli inquirenti.
Inoltre questa presunta banda del Brabante sarebbe composta da personaggi disorganizzati, dediti a piccola criminalità, senza alcuna nozione di strategia e tattica militare. Che invece tornano in ogni colpo.
Per di più, le perizie balistiche, non incastrano i cinque: per gli esiti delle indagini scientifiche, i balordi del Borinage non sono gli assassini folli del Brabante.
E questa “pista” finirà nel nulla tanto che nel 1988, la corte d’assise di Mons – dopo sei ore di camera di consiglio – si pronuncerà con un verdetto di assoluzione.
Dunque chi sono i veri criminali? Se nel 1988 non si è in grado di rispondere, non lo si era, tanto meno nel pieno della prima ondata di criminali, tra il 1982 e il 1983. Poi, nel 1984, silenzio, il commando non colpisce più, le armi si zittiscono.
È finito l’incubo? Se qualcuno inizia a crederci, dovrà abbandonare questa convinzione nel settembre 1985 quando – di nuovo – una Golf Gti si ferma improvvisamente nel parcheggio del supermercato di Braine-l’Alleud, regione del Brabante. Uno degli occupanti è particolarmente imponente, tanto che viene chiamato le géant, il gigante.
Di lui viene tracciato uno dei numerosi identikit realizzati in quel periodo, il numero 19.
In totale il commando è composto da tre uomini, che scendono dall’auto. Anche stavolta portano maschere di carnevale e dei cappotti di foggia militare. E come già accaduto in passato, iniziano subito a sparare contro qualsiasi cosa si muova. Uccidono chiunque si trovi davanti e in pochi passi conquistano l’interno del supermercato seminando il panico.
A questo primo colpo del 25 settembre 1985 ne segue a ruota subito un altro, lo stesso giorno, sempre in un supermarket della stessa catena, che fa cinque vittime, assassinate senza alcuna ragione. Il bilancio finale di quella giornata è di otto morti.
Si è di nuovo da capo, l’incubo degli assassini folli del Brabante è tornato. Qualche giorno dopo, ad Alost, i banditi provocano un altro massacro che non frutta praticamente denaro. È il 27 settembre 1985, un venerdì, e a quel punto è chiaro che questi criminali non sono rapinatori, ma giustizieri che cercano di seminare il terrore, riuscendoci.
Come altro giustificare l’omicidio prima di una bambina e poi di una famiglia intera?
Alla fine il bilancio sarà ancora di cinque morti. E quando i banditi se ne vanno, il gigante si sporge dalla Golf e continua a sparare con un riotgun, il solito fucile antisommossa. La polizia interviene rapidamente questa volta, una volante si mette all’inseguimento, ma senza risultati. Il commando riesce a darsi alla fuga. E a quel punto, i supermercati si svuotano ancora di più, soprattutto nei fine settimana.
La sera dell’ultima strage ad Alost, il 9 novembre 1985, quando viene uccisa a 12 anni Rebecca, il commando se ne va gettando un sacco in un canale di Charleroi. C’è chi vede questa operazione e viene ordinato di dragare il corso d’acqua, senza che si trovi niente.
L’inchiesta, dunque, registra un altro buco: dispersa in molti rivoli, senza un coordinamento, con pezzi essenziali dell’indagine che vengono smarriti o dimenticati. Tornando a quel sacco, un anno più tardi, con il cambio del procuratore, si ordinano nuove ricerche e a questo punto quello che qualcuno ha definito un “vero tesoro”: dal fondo del canale saltano fuori armi, munizioni, giubbotti antiproiettile rubati, più alcuni oggetti presi nell’assalto di Alost, compresa una somma limitata di denaro.
Mancano però le armi usate negli assalti, fatto che viene letto come una minaccia futura.
Analizzando dunque la storia degli assassini folli del Brabante, è chiaro che non si sta parlando di criminali ordinari. Questi – stabiliranno indagini lunghissime e costellate di difficoltà – sono professionisti della sovversione, rintracciabili negli ambienti dell’estrema destra belga. E per iniziare a riannodare i fili di questi “professionisti della sovversione” occorre partire dal cosiddetto affaire Pinon.Una storia legata a un medico, André Pinon, e a sua moglie. La quale, sospettata di infedeltà dal marito, era stata fatta seguire da un investigatore privato il quale andò ben oltre la conferma di un semplice tradimento: la donna avrebbe infatti partecipato a una serie di “balletti rosa” con alte personalità della politica belga.
In questi festini – in questi partouze – si sarebbe abusato anche di minori e ne sarebbe stato tratto materiale per ricatti proprio a quelle personalità.
Il legame con l’estrema destra viene inizialmente individuato nel 1980, quando il direttore di un giornale che si interessa a questa vicenda farà condurre a un suo cronista un’inchiesta in cui si scoprirà nell’entourage dei frequentatori dei partouze, trasformati in abili e insidiosi ricatti a danno di personalità pubbliche, c’erano anche estremisti del Front de la Jeunesse.
O meglio – essendo stato il Front de la Jeunesse sciolto per le sue tendenze nazistoidi – dell’organizzazione che ne aveva preso il posto, la Westland New Post. Una specie di porto di mare per neonazisti, uomini dei servizi, gendarmi in odor di eversione e criminali di varia taglia.
…continua
QUI la prima parte