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Il film racconta la storia del sedicenne Craig (Keir Gilchrist) che, depresso e affetto da manie suicide, decide di ricoverarsi volontariamente in un ospedale psichiatrico per adulti di New York. Questa scelta avventata lo costringerà a rimanere all’interno della struttura per un minimo di cinque giorni nonostante il suo immediato cambio di rotta.
E’ vero, potrebbe sembrare uno di quei drammoni pesanti e strappa lacrime ma la trama, sebbene serissima, non rende davvero giustizia alla messa in scena di questa deliziosa opera. La coppia Fleck-Boden riesce a raccontare in modo dolce e incantevole, il disagio giovanile sempre più comune dei giorni nostri. Un disagio figlio della difficoltà di vivere all’interno di un sistema troppo veloce, pieno di meccanismi obbligati, colmo di aspettative e dove se si sbaglia ad incastrare l’ennesimo pezzo del puzzle tutto cade e nulla ha più senso.
E’ questo il peso insostenibile del giovane Craig, quello che lo porta sotto analisi prima, sotto Zoloft poi e infine in manicomio. Un percorso che si rivelerà tanto folle quanto determinante, soprattutto nel dimostrare come le ansie e le preoccupazioni siano tutt'altro che malattie da curare ma anzi, sofferenze comuni note anche ai suoi coetanei più tenaci e riservati.
Da alcune angolazioni, non sarebbe del tutto errato affiancare questo film ad altri cult giovanili recenti come “Mean Girls”, “Easy Girl” o “Superbad”, l’unica differenza stavolta la fa il punto di vista della storia assolutamente disinteressato agli effetti della popolarità scolastica e degli amori adolescenziali ma piuttosto concentrato su argomenti profondissimi e dialoghi esistenziali di alto livello. Motivo per cui il triangolo amoroso tra il protagonista, la ragazza del suo migliore amico e la Noelle (interpretata da Emma Roberts) conosciuta all’interno dell’ospedale, passa palesemente in secondo piano.
A fare da contorno alle interessantissime sedute psichiatriche del protagonista, una manciata di simpatici e curiosi disadattati, capitanati da un incredibile Zach Galifianakis. L’attore, conosciuto negli ultimi anni grazie ai ruoli da fuori di testa interpretati nelle commedie di Todd Phillips, questa volta veste i panni di un internato molto meno squilibrato del solito ma anche assai più profondo e convincente. Le (poche) risate del film non arriveranno certo da lui questa volta ma in cambio riesce a regalare moltissimi sorrisi e l’interpretazione migliore della sua (mini) carriera.
Sono questi (e forse molti altri) i motivi per cui, “It’s Kind of a Funny Story“ riesce a convincere più del previsto, catturando sin dal primo minuto e stimolando le corde emozionali dello spettatore scena dopo scena fino al suo compimento. Ciò lo rende a mio avviso un piccolo gioiellino che vi auguro possiate recuperare al più presto, magari proprio grazie alla mia positiva propaganda.
Trailer:
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