Ricapitoliamo: siamo appena scesi dal treno notturno che ci ha portati da Bangkok a Nong Khai, e ci stiamo dirigendo in tuk tuk alla frontiera tra Thailandia e Laos. Sono pochi minuti di viaggio, ma è bello sentire l’arietta fresca sulla faccia, dopo aver annusato per diverse ore l’odore di treno.
Congediamo il tuk tuk e sbrighiamo le formalità burocratiche alla frontiera thailandese, poi ci imbarchiamo su un autobus in condizioni precarie, sul quale noi pellegrini veniamo stipati come sardine.
Così inscatolati, veniamo traghettati alla frontiera laotiana.
E qui comincia il calvario:
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Ore di attesa per avere un visto;
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Gli addetti ai visti ogni tanto spariscono dietro una finestrella che ci viene chiusa in faccia (sbattendola) a seconda dell’umore del momento (ogni due minuti);
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Facciamo la coda, per poi scoprire che prima dovevamo compilare dei moduli, i quali moduli stavano lì, al fondo della coda;
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Se non hai tu una penna, ti attacchi al tram, anzi, al tuk tuk;
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Vado a chiedere quanto costa il visto, e il ragazzo me lo dice, ma senza smettere di scrivere sul cellulare;
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Poi mi chiude la finestrella in faccia (col fumetto “Non disturbarmi, non vedi che sto chattando?”)
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Una nota a lato della finestrella avverte i viaggiatori che il visto costerà un dollaro in più se ci si presenta di sabato o di domenica, o dalle 6 alle otto del mattino, o dalle 4 del pomeriggio alle 10 di sera;
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Oggi è sabato quindi paghiamo di più;
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Io continuo ad avere mal di pancia. Bagni all’orizzonte: nessuno.
Intanto dobbiamo cambiare gli euro e i thai bath avanzati – rifilateci dal malfattore - in dollari, prima di consegnare i moduli compilati; di fianco all’ufficio visti c’è un cambio ma ci sembra chiuso. Così lascio Hamed a custodia dei bagagli e mi incammino ciondolante alla ricerca di un cambio: “Vado io a cambiare i soldi! Ho mal di pancia ma vado io!” gli riferisco con voce da povera vittima incompresa. Dopo essersi fatto fregare sul treno, ho deciso che è meglio che le cose pratiche le sbrighi io. E poi con sta flemma arabo-africana mi fa venire un nervoso, sempre pacato e calmo, la sigaretta in bocca che sembra un’estensione del labbro, se cadesse il mondo lui si sposta: bastano per far saltare i nervi a una povera disgraziata col mal di pancia, no?
Mi incammino così verso l’ignoto, quando mi sento chiamare alle spalle e vedo Mister Flemma gesticolare: Ma cosa vuole, adesso? “Sì sì, arrivo arrivo!” gli sbraito mentre continuo nella ricerca di un cambio, dal quale torno poco dopo incuriosita: “Cosa volevi prima?” “Niente baby: solo dirti che il cambio che sembrava chiuso è invece apertissimo!”, mi risponde accennando un tentativo di abbraccio. Se mi chiama ancora una volta baby lo lascio al suo destino.
Ora possiamo consegnare i moduli: prima lascio il mio passaporto, i moduli e due fototessere, e pago; poi viene il turno di Hamed, che non aveva tenuto conto del fatto che, a queste latitudini, la parola OMAN stampata sul passaporto non evoca nulla di conosciuto: “You’re from Oman? Wait”. E così aspettiamo, viaggiatori misti ci passano davanti, la finestrella viente aperta e chiusa diverse volte, lasciando intravedere un paio di impiegati cercare Oman su internet e su altre attendibili fonti. Finchè il nostro non viene chiamato e invitato a pagare.
“Alla fine hanno scoperto cos’è l’Oman!”, chiedo, “Io ho pagato il visto 36 dollari, e tu?”. “26″. “Ma non è giusto! Sei tu che dovresti pagare più di me, avete il petrolio!” protesto. “Ma noi abbiamo il Sultano, baby. Voi avete Berlusconi”.
Poi si accende una sigaretta, e me la porge: la sua panacea per tutti i mali. Insieme alla parola baby.
Attendiamo quasi un’ora prima di sentirci chiamare dalla finestra di fianco all’ufficio: evviva! Ora possiamo entrare nel Laos.
Come? Ma su un tuk tuk, naturalmente! E stipati come polli: insieme a noi e le nostre valigie, salgono, nell’ordine: una ragazza con una bambina in braccio che mi punterà i piedi per tutto il tragitto; un signore con due denti munito di sacchetto con fettine di mango, che mangerà e sputacchierà fino a destinazione; una giovane che mi sorriderà tutto il tempo e mi farà tornare di buon umore (Hamed lo è già: lui è SEMPRE di buon umore).
Il tragitto fino all’hotel è lungo e interessante: mercati, colori, tuk tuk e lentezza: finalmente il vero Sud-Est Asiatico. Quello che mi mancava. L’albergo l’avevo prenotato la sera prima su internet, in fretta e furia prima di lasciare l’hotel di Bagkok per correre alla stazione dei treni. Una rapida ricerca tra le recensioni lasciate su Tripadvisor e la scelta è caduta sul Vientiane Garden Hotel. Ho effettuato la prenotazione per una notte sola: visto il compagno di viaggio, chi si azzarda più a riservare una stanza per più di una notte?
L’hotel è carino e confortevole, e dopo una bella doccia ci lanciamo alla scoperta di Vientiane. Questo il reportage fotografico della passeggiata per la capitale del Laos:
- Buona questa baguette! Però vai a chiedere del piccante, và…
- Birra Lao! Cin Cin! (Ha imparato a dirlo in italiano)
Le strade sono semi-deserte. Calma piatta.
Palazzo presidenziale
I selfie col buddha sono stati sostituiti dai dragoni
Tempio Ho Pra Keo
I Buddha rispecchiano il temperamento dei laotiani: calmi, serafici, sorridenti.
Per entrare ho dovuto indossare un pareo (che mi casca di continuo)
La visita della città si conclude qui. Causa: malessere fisico della sottoscritta, che, sotto un sole cocente, sta ora intimando il caro Hamed di tornare all’hotel a passo spedito. Arrivo in camera, faccio tappa in bagno e mi butto sul letto, dove mi addormento fino all’ora di cena.
Ed è durante la cena che la sottoscritta comincia a dare voce – una voce flebile, da malata terminale – ai suoi desideri più reconditi:
- Ti sta piacendo il Laos, baby?
- Sì, perchè?
- Ecco… è un po’ noioso… non c’è vita… un po’ piatta Vientiane…
- Cosa stai cercando di dirmi?
- E’ che mi manca la città caotica… saltare su un motorino… respirare i gas di scarico… sapere dove sto andando… quel paio di amiche che non rivedo da un anno… il cibo buono… perchè non mi dire che il cibo nel Laos è buono, eh?
- Cambogia?
- Cambogia.
Ci svegliamo di buon’ora: io ho passato una notte d’inferno col mal di stomaco, però dopo una bella doccia tonificante sento che posso affrontare un nuovo viaggio. Apro il computer e cerco su kayak.it quand’è il primo volo (economico) per Phnom Penh: Vietnam Airlines, volo diretto delle 11.50. “Bene”, esclamo felice, “Andiamo a fare colazione poi acquisto i biglietti e via all’aeroporto!”.
Torniamo dalla colazione. Apro il computer. Il volo non è più disponibile. Panico. Vado sul sito della Vietnam Airlines: non funziona. Impossibile acquistare il biglietto.
“Ah sì? Vi faccio vedere io chi è Sunday Siyabi!”, sussurro minacciosa.
“Hameeeeeeed! Spegni quella cavolo di sigaretta e prepara lo zaino più in fretta che puoi: proviamo ad acquistare il biglietto all’aeroporto!”.
Il Nostro rientra in camera sorridendo: sono stata contagiata.
Cambogia, aspettaci!