Di lui dissero essere un “Papa debole” e, invece, è stato in grado di tirare fuori gli artigli. Necessari per governare la Chiesa universale e, soprattutto, il Vaticano. Ora, l'eta e la stanchezza non gli permettono di avere l'aggressività necessaria per affrontare il “mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti”, perché occorre “vigore sia del corpo, sia dell'animo” per assolvere al ministero papale. Come ha sottolineato nell'annuncio delle dimissioni. Un vigore che ha dimostrato saper utilizzare per far fronte ai più forti interrogativi e alle sfide che gli sono giunte dinnanzi; per dare risposte a soluzioni a molti interrogativi lasciati in eredità dal Wojtyla.A partire dal rapporto tra fede e ragione. Dove Giovanni Paolo II compì il significativo gesto di chiedere scusa per le accuse che la Chiesa aveva rivolto a Galileo, Ratzinger ha costruito in maniera fine la spiegazione teologica e filosofica del dialogo tra fede e scienza. Lo ha fatto in una delle sue lectio magistralis più controverse e criticate: quella tenuta a Ratisbona. In quell'occasione, infatti, il Papa ha sottolineato come sia necessario superare “la limitazione auto-decretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento” per dischiudere “ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza”. La riscoperta, dunque, di una “ragione di fede”, affinché torni ad essere un aspetto centrale della vita dell'uomo. Una ragione di fede che non escluda la ragione razionale, ma la comprenda.Il papato di Benedetto XVI è stato meno simbolico di quello precedente, ma non per questo meno importante. Ratzinger, infatti, ha affrontato con forza – ed è stato, forse, il centro del suo messaggio pontificale – il relativismo di un mondo che ha perso e continua a perdere la capacità di determinare il Bene. Ha attaccato l'Occidente che parifica tutte le religioni e le culture, relativizzandone i contenuti. Una battaglia che gli ha provocato inimicizie esterne e, soprattutto, interne. Divisioni laceranti e dolorose contro cui si è scagliato anche nell'ultima udienza con il clero di Roma: ha parlato, infatti, di «divisioni nel corpo ecclesiale» che deturpano il volto della Chiesa.Il ministero di Joseph Ratzinger è stato duro, faticoso, pieno di insidie. Negli anni è stato attaccato su più fronti. Dalle critiche del mondo islamico a quelle per la riammissione in seno alla Chiesa dei vescovi lefebvriani. Un papato travolto dagli scandali della pedofilia, dello Ior e di Vatileaks, cui ha cercato di rispondere con forza. Un vigore di cui la Chiesa ha bisogno e che l'uomo Ratzinger non può più assicurare.Benedetto XVI è stato un Papa coraggioso. Ha affrontato il dialogo interreligioso consapevole della necessità per il mondo cristiano di riscoprire, prima, le fondamenta e la Verità della propria fede. Un Papa coraggioso, che ha scelto di conferire attraverso le sue mani il Battesimo a Magdi Cristiano Allam, giornalista convertito dall'Islam e feroce oppositore delle aperture del mondo occidentale agli islamici. Cosa che non gli ha risparmiato una pioggia di critiche e proteste, dal mondo islamico e dall'area progressista del clero del Vaticano. Lo stesso Allam racconta come, alla fine della funzione nella notte di Pasqua del 2008, il Cardinale Giovanni Battista Re affermò che“se Bin Laden si fosse fatto vivo” avrebbero saputo “a chi indirizzarlo”. Parole che accendono una luce su come alcune scelte di Benedetto XVI e dei suoi più vicini collaboratori fossero apertamente osteggiate in Vaticano. Perché considerate troppo lontane dalla via tracciata da Wojtyla.Nonostante tutto, ha avuto il coraggio di ricucire lo strappo con i lefebvriani che, dopo il Concilio Vaticano II, abbandonarono la Chiesa. E lo ha fatto permettendo l'utilizzo del rito latino ed affermando con forza l'errore di alcune interpretazioni fatte del Concilio. Ancora una volta, raccogliendo più critiche che plauso.
Così, arriviamo all'ultimo atto di coraggio di Benedetto XVI: le dimissioni. Un annuncio che ha sconvolto, giustamente, il mondo cattolico e non. Perché è un evento storico e perché pone alcuni interrogativi: la presenza di un predecessore vivo come ricadrà sulle decisioni del nuovo Papa? E ancora: è una scelta che ha rotto la Tradizione? È un evento che rischia di far traballare la sacralità del ruolo del Vicario di Cristo?
Un atto che, ancora una volta, porta alla luce divisioni e opinioni discordanti. Da una parte chi ne sottolinea la dignità ed umiltà. Dall'altro, chi – soprattutto nel clero - sostiene sia un errore, ricordando che “non si scende dalla croce”. Un anonimo cardinale ha confidato al Corriere della Sera di considerare le dimissioni una “ferita istituzionale, giuridica e di immagine.” Insomma, “un disastro”.
Ma davvero il papa della Tradizione ha rotto la Tradizione, generando un “disastro”? No. Perché le dimissioni sono contemplate dal diritto canonico e perché “l'essere Vicario di Cristo e l'Infallibilità – come giustamente afferma Antonio Socci – sono prerogative del ministero petrino e non dell'uomo”.
Benedetto XVI ha fatto una scelta: quella di preferire il bene della Chiesa, che necessita di una guida forte, alla testimonianza di sofferenza nel servizio che diede, invece, Giovanni Paolo II. Una scelta coraggiosa.Giuseppe De Lorenzo