Questo è uno dei primi messaggi che abbiamo percepito, soggettivamente, nelle sottotracce e nel titolo del libro di Camillo Langone, BENGODI i piacere dell’autarchia (Marsilio), per il sottotitolo leggetevi l’introduzione “negazionista”.
Preziosissima non-guida esperienziale attraverso i piacere della vita, del cibo, del vizio per il bello, delle bevande e di ogni altra cosa che possa solleticare le papille gustative della nostra mente abbiamo immediatamente allineato i nostri sensi con le pagine scritte in un compiacente senso di cameratesca affinità.
Naturalmente il titolo porta anche al famoso Paese di Bengodi, di decameronesca memoria che a sua volta caratterizza anche il Paese della Cuccagna. Alt però! Qui si parla di una cuccagna sana, intelligente, di un’abbondanza fatta di piccole porzioni a volte. Bengodi non è niente di quello che potremmo essere preparati a ricevere perché come dice l’autore stesso “E’ uno stile di vita, non solo di mangiare e bere […] è un catalogo di possessi esclusivi”, non si parla di eccesso, di sovrabbondanza fatta per satollare. Ogni pagina contiene una cibaria elegante capace di saziare momentaneamente lasciando posto per la fame di conoscere altri. Una sazietà mai raggiunta che non è tormento ma gioiosa ricerca.
E via dai biscotti all’anice di Taggia fino ai sigari toscani, dalla mostarda di Milano alla Vernaccia di Oristano, dai barbieri al Salame d’oca, sempre con l’occhio personalissimo dello scrittore che infarcisce, mai troppo, i suoi “appunti” di dotte citazioni, colte affermazioni e stroncature divertenti che risiedono nelle pagine chiamate (La peste).
Avete capito che questo è un libro che campeggia nella nostra libreria e che viene consultato con gaudio e spesso. Potevamo finirla qua, convinti che il Geist di questo articolo abbia stuzzicato il vostro appetito, ma abbiamo preferito sentire anche Camillo Langone per una breve intervista, fatta di tre domande, in cui siamo stati, felicemente, rimbrottati e abbiamo scavato ancora un po’ nel mondo di Bengodi.
Ci hanno insegnato a ingozzarci e non a mangiare, a trangugiare e non gustare, a comprare e non scegliere. Con Bengodi si azzerano o si prova a farlo, alcuni di questi aspetti. Ma come ci si salva davvero? Perché non si riesce a trovare il piacere del buono e, a volte, del bello e del buono?
Invece secondo me non ci hanno insegnato niente, in giro vedo solo gente convinta che spigola e branzino siano pesci diversi, che il lambrusco non sia vino, che i bianchi diano alla testa, che la mozzarella sia leggera, che in Emilia si mangi bene, che le stelle Michelin guidino verso i ristoranti migliori... Ci si salva leggendo Bengodi, ovviamente.
Il Gusto è diventato uno dei protagonisti della moda: c'è la moda di sapere di vino, di sapere di formaggi, di sapere di birra. Ma il vero Gusto come si allena e come si crea?
Allenare è un verbo di sapore sportivo che non mi piace come non mi piace lo sport, mi fa venire in mente campionati, classifiche, vincitori e vinti, mi fa venire in mente quei poveretti dei sommelier che con le loro garine riducono un liquido mistico come il vino a oggetto di basse, volgari, cieche analisi organolettiche. Io non mi sono mai allenato a niente in vita mia, ho semplicemente seguito il mio desiderio di bellezza.
Lei parla di identità e piacere del gentiluomo e della gentildonna italiani. Ne abbiamo ancora? Di tutto intendiamo? O anche interviene sempre il fattore modaiolo?
Certamente che abbiamo ancora gentiluomini e gentildonne, sono coloro che comprano i presepi napoletani della Scarabattola, che quest'inverno hanno deciso di procurarsi un tabarro, che se fumano fumano toscani o la pipa, che non usano i profumi degli stilisti ma quelli dei profumieri, che al posto dello zucchero dolcificano con miele non pastorizzato, che stravedono per la cacciagione e quindi per la caccia, che vanno a messa dove viene suonato l'organo a canne...
Buona scelta
IBD
Foto di Elena Fontana, studio di Marco Cingolani