È una lunga tradizione, ma si potrebbe anche parlare di lunga tentazione: rendere facile, divertente, appetibile un argomento scolastico in un libro di narrativa per ragazzi.
In effetti proporre in modo divertente e divertito qualcosa che attiene alla scuola non è poi un’idea malvagia, se si hanno presenti, anche appena, fatti minimi sul funzionamento dell’apprendimento. Si comprende meglio un testo, ad esempio, e quindi lo si memorizza più facilmente, se abbiamo un legame affettivo positivo con ciò che stiamo affrontando: è il banale motivo per cui è più facile ricordarsi la trama di Beautiful o la formazione dell’Inter piuttosto che una pagina di storia, e se ci pensate non c’è poi questa grande differenza; sempre di memorizzazione si tratta, sempre di pura astrazione (anzi, nel caso della formazione di una squadra di calcio si tratta di un elenco senza nessi logici o cronologici). È che il cuore attiva zone della nostra memoria e risorse che non pensavamo di avere; ci rende tutto più facile e più veloce.
Proprio ispirandosi a principi come questi, nasce così una collana come Brutte storie (ovviamente, Salani), per esempio, al limite della genialità; grasse risate sono garantite, e forse anche il mondo della storia si può avvicinare, un po’, ai ragazzi.
Ci prova, dunque, giocando con lo stesso meccanismo, anche Massimo Birattari con Benvenuti a Grammarland, Feltrinelli Kids. L’intento pedagogico sottostante è evidentissimo, e per nulla celato dall’autore e dall’editore; già il titolo evoca l’odiosa disciplina, di cui per altro l’autore considera quasi esclusivamente l’aspetto dell’ortografia e del riconoscimento morfologico (la buona, cara, vecchia analisi grammaticale che tanto ha fatto e fa penare gli studenti). Sulla quarta di copertina troneggia uno scheletro attaccato ad un appendino, con la minacciosa scritta «L’uomo che è diventato questo scheletro usava il condizionale al posto del congiuntivo.»
Molto curata la grafica: chiare, nella loro immediatezza, le vivaci illustrazioni di Allegra Agliardi, che giocano anche con i titoli dei capitoli e si insinuano nel tessuto della storia. Nessuno avrà l’impressione di prendere in mano un testo barboso. In questa stessa prospettiva, anche l’autore fa di tutto per rendere veloce e scoppiettante il testo, ricco di invenzioni continue: nel parco del professor Mangiafuoco «chi sbaglia viene catapultato in aria, precipita in una botola, rischia di sprofondare nelle sabbie mobili»… Tutto per gioco, si intende, tutto per scherzo: ma con l’idea che la grammatica ha delle sue regole, e queste regole devono essere rispettate anche perché in molti casi sono molto semplici. «L’insegnamento è basato sul puro terrore», spiega il preside ad una mamma preoccupatissima, un po’ scherzando e un po’ no, «ma i ragazzi vanno matti per l’horror, lo sappiamo tutti.»
Il libro perde qualcosa quando si intrufola in minuziose descrizioni che, per quanto necessarie, sono di faticosa lettura. È pur vero che vengono relegate ad apposite note sottolineate dal cambio di colore del carattere; tuttavia anche l’autore, o il narratore, deve alfine accettare che alcune regole dell’italiano non siano poi così immediate e logiche come ci saremmo aspettati.
Qualche perplessità ancora, legata alla ripetitività dei capitoli centrali, in cui attraverso varie giostre vengono illustrate le regole grammaticali. Quel che ci si chiede allora è: si poteva fare di più, o di meglio? Non lo so. Penso che il testo, nonostante alcuni limiti che sono stati esposti, abbia il merito di provare a raccontare le cose da un altro punto di vista. È una partenza; forse Birattari avrebbe potuto essere più coraggioso.
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