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Non c’è bisogno di credere in un dio per esprimere una motivata condanna morale della criminalità organizzata, tanto meno di quel dio al quale tanta criminalità organizzata è devotissima da sempre. «Quello che mi ha colpito nella mia frequentazione dei mafiosi – scriveva qualche tempo fa Roberto Scarpinato – è l’avere constatato che si tratta in moltissimi casi di cattolici credenti e praticanti, e non c’è simulazione […] Come è compatibile – si chiedeva – il fatto che questi uomini uccidono, sono mafiosi, eppure sono in pace con se stessi e con Dio? La conclusione a cui sono arrivato è che in realtà non pregano lo stesso Dio, pregano un Dio diverso. Pregano un Dio diverso, perché nella cultura cattolica il rapporto tra il singolo e Dio è gestito da un mediatore culturale: ciascuna articolazione sociale esprime dal suo interno un mediatore. E così abbiamo i sacerdoti della mafia e i sacerdoti dell’antimafia […] Il mafioso ha un rapporto con Dio che non è conflittuale perché il mediatore con Dio che lui stesso sceglie è espressione della sua stessa cultura. Vi sono delle chiese che sono piene, la domenica, del popolo di mafia, dove ci sono dei sacerdoti che mediano il rapporto con Dio in modo da eliminare qualsiasi attrito e qualsiasi frizione». Ora, che un papa scomunichi i mafiosi in quanto mafiosi, i camorristi in quanto camorristi, eccetera, sembrerebbe essere evento degno di nota, perché il «mediatore culturale» fin qui connivente si troverebbe di fatto ad essere delegittimato nel «mediare il rapporto» tra Dio e il mafioso in quanto mafioso, il camorrista in quanto camorrista, eccetera. Sembrerebbe, insomma, un gesto destinato a metter fine per sempre a quella connivenza tra ministri del culto e uomini appartenenti a questa o quella organizzazione criminale che non ha mai mancato di offrirsi come paradosso dalle pagine di cronaca. Gesto che lo stesso Roberto Scarpinato evocava come risolutore: «Fino a quando la Chiesa cattolica non denuncerà in modo inequivocabile che certi comportamenti non sono compatibili col Vangelo – scriveva – potremo dire che c’è qualcosa che continua a non funzionare nei fatti». E dunque, con la scomunica di Bergoglio, i fatti cominceranno a funzionare? Più di un dato ci spinge ad essere scettici, a cominciare da quello che lo stesso Roberto Scarpinato metteva in evidenza: «La Chiesa ha la struttura ordinamentale di una monarchia assoluta, basata sulla gerarchia e sull’obbedienza […] Io credo che non si possa fare un discorso di liberazione degli altri se l’istituzione che lo fa non si nutre di una profonda ed autentica democrazia interna. Mi pare vi sia una contraddizione in termini». Personalmente andrei anche più in là, direi che le analogie tra la Chiesa cattolica e l’organizzazione criminale di stampo mafioso sono innanzitutto di tipo antropologico, ma qui non voglio approfondire questo aspetto, sul quale d’altronde mi sono già intrattenuto in altre occasioni: vorrei limitarmi a considerare la portata della scomunica comminata da Bergoglio. Innanzitutto occorre considerare che non può essersi trattato di una scomunica latae sententiae: non sarebbe stato necessario emetterla, perché automatica, dunque avente già effetto; d’altronde i casi in cui essa è prevista non sono in alcun modo adattabili alla condizione di appartenente ad un’organizzazione criminale di stampo mafioso. Ad escludendum, deve essersi trattato di scomunica ferendae sententiae, e nessun problema si porrebbe se non fosse che i casi in cui essa è contemplata non sono tra quelli che costituiscono lo specifico dell’attività criminale di stampo mafioso, tanto meno quello della semplice appartenenza ad un’organizzazione del tipo in oggetto. È vero che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha dato authentica interpretatio del can. 1374 del nuovo Codice di Diritto Canonico indicando come valido motivo di scomunica la semplice appartenenza alla Massoneria, ma tale parere non è mai stato esteso alla semplice appartenenza ad un’organizzazione criminale, sicché la sanzione rimane applicabile solo a una persona fisica, non a un organizzazione nel suo insieme. In teoria, sarebbe possibile rimuovere questo ostacolo, ma la modifica dovrebbe passare per decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede o per editto pontificale motu proprio, di cui al momento non si ha notizia, né annuncio. Sorge il sospetto che Bergoglio abbia voluto, e per l’ennesima volta, mietere simpatie a costo zero, come quando si produce in quelle soffici banalità spolverate con zucchero a velo che deliziano i palati grossolani. Ben più efficace sarebbe stata una scomunica a tutti i religiosi in varia misura conniventi coi pesci grandi, medi e piccolini delle cosche: per una scomunica del genere ci sarebbero stati gli estremi a norma di Codice dei Diritto Canonico, e gli effetti sarebbero stati davvero dirompenti. Poi, certo, avrebbe significato lasciare enormi territori della Sicilia, della Calabria e della Campania sguarniti di preti… Meglio spararla grossa e insignificante, tanto più adesso che mafia, camorra e ’drangheta attraversano un periodaccio e non possono permettersi di sparargli un colpo di bazooka in culo.
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