Epifania, viaggio a Berlino di cinque giorni approfittando di un’offerta volo e hotel a prezzi stracciati. L’alloggio? Il Park Inn Alexanderplatz, un grattacielo di 37 piani con più di mille stanze per “turisti viziati”, direbbe qualcuno. Salvo poi cercare di risparmiare su tutto, mediante la sublime arte di arrangiarsi. Menù tipico? “Tipico” McDonald’s e menù a prezzo fisso, “tipico” kebab e privé di… tutt, vocale compresa!
Una città sventrata dai cantieri, ripiegata su sé stessa, stanca dei tanti eccessi festaioli di fine anno, a giudicare dai troppi rimasugli di “scoppiettante” felicità abbandonati sui marciapiedi, come quella vuota bottiglia di champagne, buffo trofeo di probabili viaggiatori low cost.
Per tale destinazione, caratterizzata da intensi rigori climatologici, mi è sembrato opportuno abbigliarmi con scarpe da trekking beige (ironia, come le zampe dell’orso, divenuto simbolo della capitale tedesca), giacca a vento e paille felpato, policromi, quasi mi accingessi a recarmi sulle piste innevate dell’Alto Adige. Salvo poi scoprire di essere guardata con diffidenza, dall’aereoporto alla hall del lussuoso albergo, come una specie in via d’estinzione (molti ci sperano), alla stregua di Totò e Peppino col colbacco in Piazza del Duomo, dai seguaci del Moncler e dell’omologazione modaiola anche in vacanza.
Primo luogo accostato, Alexanderplatz, all’interno del centro storico, Mitte, con tanto di casette di legno e pista di pattinaggio su cui scivolavano orde di scalmanati, che piroettando al ritmo di una musica assordante parevano il fugace riflesso dei pensieri di coloro che osservavano, appropriandosi di una contagiosa baldanza infantile che restituiva vigore e gioia di esserci.
Poco oltre svettavano, penso ci siano ancora, il Weltzeithur (“Orologio Universale”) e la celebre “Torre della Televisione”, Fernsehturm, di 346 metri con accesso panoramico, al “modico”costo di dodici euro, giornalisti esteri compresi. Il Berliner Dom poteva essere visitato pagando sette euro, utilizzando il pedibus per raggiungere, cuore permettendo, la cupola da cui osservare la distesa di sfavillanti luccichii berlinesi. Straordinaria la vista notturna, in realtà erano solo le 16,30 quando a guisa di spavaldi nocchieri è stato possibile fondersi con l’infinito, assaporando il dolce naufragare, in quel mare di contrasti architettonici.
Nella cripta del Duomo, con un certo sgomento, si vedevano decine e decine di bare impolverate di legno o metallo e di varie dimensioni, anche due molto piccole. A poca distanza, sembra una macabra battuta, c’era un “baretto” chic. Tutto ciò, al termine di una giornata uggiosa e plumbea, che avevo definito un “mortorio”.
Il giorno dopo, con cielo azzurro e sole splendente, era magnifico passeggiare per la lunghissima arteria dell’Unter den Linden, ma l’ansia più grande era quella di poter vedere la Porta di Brandeburgo. Sullo spazio antistante si notava un guazzabuglio di stranezze che la contraddistinguevano: carrozze trainate da cavalli o biciclette, una band di musicisti rockettari su un palchetto sistemato in un furgoncino denominati “Da Las Vegas a Berlino”… forse era meglio che rimanessero là. E poi una coppia di falsi militari, uno bianco con bandiera rossa e uno nero con bandiera americana, in posa per le foto con i turisti, guadagnandosi così il pane quotidiano ed evitando di far parte della “nutrita” schiera di nullafacenti.
Dopo aver ammirato il Rotes Rathaus, il municipio rosso del Nikolaiviertel, con le classiche ghirlande dinanzi ai portici, cosa c’era di meglio se non onorare i robusti piatti della gastronomia tedesca, magari nelle classiche gasthaus, con musica di sottofondo, tovaglie a scacchi, oggetti quotidiani di ogni genere appesi. Che atmosfera avvolgente creava la tanta vegetazione di agrifogli, kalankoe, abeti, collocata in ogni angolo per restituire l’atmosfera ispida, ma straordinariamente inebriante della terra che ci ospitava. Fredda e scontrosa come l’aria di quel giovane cameriere biondo dinanzi alla mia esigua mancia.
La sera successiva era sabato, nel locale c’era posto solo all’esterno, con copertina rossa a disposizione dei clienti, lampada alogena accanto e giacca a vento addosso: non so se abbia più apprezzato la scarsa ciotola di goulash tiepido o l’ottima birra fredda. Il ragazzetto sopracitato, attorcigliandosi i capelli attorno all’orecchio e atteggiandosi a diva con tutti gli avventori, ha ritirato la mia banconota un “It’s ok!” senza restituirmi il resto. Ha trattenuto così il cinque per cento, più qualcosa della sera precedente. Good!
Commoventi le centinaia di luci natalizie sugli alberi di Kurfürstenstrasse e le cupole illuminate in Potsdamer Platz, con gli sfavillanti grattacieli e il Sony Center. Gradevoli, non solo per i bimbi, i Babbi Natale con slitta e renne, costruiti a grandezza naturale utilizzando i mattoncini Lego.
Domenica, 5 gennaio, visita a Potsdam, capitale del Brandeburgo, a circa 40 minuti da Berlino. Posta sul fiume Havel, ospita l’antica residenza della famiglia reale di Prussia, nel Parco Sanssouci.
All’entrata delle sontuose sale, oltre ad un’audioguida ci è stato fornito un paio di pantofoloni da indossare sulle scarpe, così su quei parquet o pavimenti di marmo sembrava di pattinare sul ghiaccio. Per l’accesso alla toilette, sbarrata da un aggeggio meccanico di ultimo modello, erano richiesti 70 centesimi. Un cartello segnalava la possibilità di farsi rimborsare 50 centesimi al bar adiacente, spendendo altri soldi per la consumazione. Potenza dell’economia tedesca. Non era previsto però un rimborso per la lucidatura del pavimento che noi visitatori abbiamo fatto, nostro malgrado, con i buffi pantofoloni felpati.
Ritornando a Berlino abbiamo notato la buffa e costante presenza dei venditori ambulanti di wurstel con giacca e ombrello rosso, posato sulle spalle, muniti di imbragatura per reggere la bombola e, sulla pancia, la graticola su cui arrostivano le salsiccette che inserivano in un panino al modico costo di euro 1,50. Osservandoli, riflettevo che poteva essere per me un’alternativa all’infruttuosa fisioterapia finora svolta per la mia grave discopatia.
Spettacolare la vista del panorama berlinese anche dalla cupola del palazzo del Reichstag, la sede del Parlamento, a cui si accede tramite prenotazione online. In realtà siamo riusciti ad entrare dopo una mezz’oretta di coda, sottoponendoci ad un’accurata perquisizione che fa sentire orgogliosi dal propria esistenza piatta ma onesta.
Impressionante la struttura interna che si snoda su più piani come se fosse un vortice metallico da film di fantascienza. Interessanti anche le informazioni fornite dall’audioguida che incuteva soggezione allorché proferiva: “Un momento, si fermi un attimo…faccia tre passi avanti per favore, si giri…”
Grandi aspettative anche per la visita all’East Side Gallery, un’interminabile serie di murales, stile sottopassi della metropolitane o del Naviglio della Martesana. Si tratta sicuramente di prodotti artistici notevoli, ma niente fa pensare ad un reperto archeologico a cielo aperto. Pure in tal caso è scattato però il bussiness con la vendita di “pezzetti” di muro a tre 0 quattro euro, come souvenir.
Riguardando le fotografie, quanta poesia e rapita emozione per quegli scatti rubati, e soprattutto che desiderio di ritornare e di ripetere quelle dolci parole scritte sul cuore di cioccolato regalato dalla compagnia aerea al termine del volo, “I love Berlin“.