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Berlusconi compra la villa d’Amleto

Creato il 15 settembre 2013 da Albertocapece

villa d'AmletoA leggere i giornali di famiglia si ha una precisa sensazione: che non ne possano più anche loro di battersi per una causa persa. Sbraitano, urlano, si arrampicano sugli specchi, ma sanno benissimo che l’era di Berlusconi è tramontata e quasi quasi pare di scorgere come un sollievo della fine, una liberazione da una malattia terminale che ogni giorno presenta nuove complicazioni e dalla noia di ripetere sempre gli stessi argomenti. La stessa agibilità politica che si chiede per il tycoon è ormai solo in funzione della salvezza personale e aziendale, più che uno spazio reale del resto già pienamente occupato da Letta e dalla neo dc in formazione. il giochino di cambiare nome alle tasse per far finta di essere riusciti a toglierle non funziona più e per giunta anche Letta se ne serve: mezzucci, trucchi, oserei dire rumori intestinali che non possono essere scambiati per respiro politico.

E’ singolare perciò che la salvezza di Berlusconi occupi uno spazio emotivo e politico ben più rilevante fra le alte cariche e gli ex avversari, un po’ perché vogliono evitare le elezioni e la messa in gioco della cadrega, un po’ forse per ignoti ricatti, ma soprattutto perché sono straziati da un dubbio amletico: è meglio che il Cavaliere si salvi continuando così ad alimentare una contrapposizione che poi nei fatti non esiste, magari anche rischiando una figuraccia da far poi dimenticare con qualche illusionismo o è meglio liberarsene rischiando così di privarsi del motivo principale di consenso e anche di ridare spazio e ossigeno al rinnovamento di una politica ingessata?

Sono gli stessi timori della classe dirigente di riferimento che oltretutto vorrebbe assolutamente evitare che un potente vada effettivamente in galera, che si faccia strada fra i cittadini l’illusione che davvero la legge può essere uguale per tutti. Domani potrebbe toccare a qualche intoccabile a un rampante della politica, a un banchiere, a un capitalista senza capitali. Per carità. E’ per questi motivi che una situazione fin troppo chiara si complica ogni giorno di più, mentre appaiono le muffe che potrebbero portare – nel voto in aula – a una defezione di quei famosi 101 di Prodi. Invece con qualche rinvio in attesa di sommi pareri dalla Corte costituzionale, opportunamente arricchitasi  di Amato, o di Straburgo o della Dotta Confraternita del Tortellino se può servire, si può lasciare in sospeso la questione e dopo qualche  ora in un centro della Charitas, può cominciare la pioggia delle grazie e delle commutazioni di pena, parziali o tombali.

Aspettando fermi come le lucertole nel deserto si può ottenere che intanto venga quantificata l’interdizione dai pubblici uffici, presupposto per un intervento salvifico del Quirinale, si può allarmare il Paese sul disastro vero e/o gratificarlo sulle false uscite dalla crisi e sui pericolo di abbandonare le larghe intese, insomma si può davvero gestire l’ambiguità. Ma se per qualche disgraziato evento l’operazione non riuscisse, allora sarebbe forse meglio una fuga che trasformerebbe Berlusconi in un martire tropicalizzato e gli impedirebbe una qualche rivincita elettorale. Così sarebbe tutelata l’integrità di un sistema che non  ”ha ceduto al ricatto” e si aprirebbe una prateria immensa di discussione, ambiguità, mito, recriminazione. Dopotutto il cavaliere immerso in una qualche oasi al tropico del Cancro sarebbe la prova vivente che la giustizia non è uguale per tutti e sarebbe salvo uno dei pilastri della seconda/terza repubblica.


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