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Berlusconi e la fiducia al governo letta: ecco perché

Creato il 04 ottobre 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Matteo Boldrini

Mercoledì mattina si è consumata una delle più grandi sconfitte politiche che Silvio Berlusconi abbia mai subito dalla sua discesa in campo. La sua opposizione netta alla fiducia al Governo guidato da Enrico Letta non solo non ha trovato larghi consensi all’interno del Parlamento, ma soprattutto ha sollevato notevoli dissensi all’interno del Popolo della Libertà, arrivando addirittura a creare una spaccatura che ha visto schierati Berlusconi da una parte e il suo delfino, Alfano, ed altri berlusconiani della prima ora dall’altra.

La spaccatura è arrivata al punto che una parte dei parlamentari eletti tra cui l’ex Presidente della Lombardia Formigoni, ha annunciato che uscirà dal gruppo sia alla Camera sia al Senato e formerà gruppi autonomi, rendendo palese la scissione. La strategia di Berlusconi di mettere pressione al governo sulla questione della decadenza attraverso la rottura e nuove elezioni, che nel caso massimo avrebbero potuto garantirgli una maggioranza che rimettesse mano alla legge sulle incandidabilità, non si è rivelata fruttifera e si è visto costretto a votare e a far votare la fiducia. Le motivazioni dietro un gesto simile sono senza dubbio molteplici e di natura strettamente politica.

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Enrico Letta e Silvio Berlusconi – lettera43.it

Per Berlusconi aveva senso togliere la fiducia all’esecutivo solo nel caso questo avesse portato ad elezioni anticipate, in tal caso infatti avrebbe potuto spostare lo scontro politico sul terreno elettorale, terreno dove senza dubbio parte favorito, e lì punire eventuali scissionisti e traditori che avrebbero avuto senza dubbio maggiori problemi nel raccogliere consensi. Ma probabilmente la fronda interna al Pdl coinvolgeva troppi parlamentari, e di livello troppo alto. Da una possibile fiducia Berlusconi aveva solo da perdere e questo lo sapeva benissimo, ma votare la sfiducia ad un governo senza riuscire a farlo cadere è un’evenienza ancora peggiore. Si sarebbe trovato isolato a destra, estromesso dal governo e messo in minoranza con il suo partito spaccato a metà, e questa era senza dubbio la situazione più pericolosa. Quindi è stato molto più conveniente far rientrare l’allarme sfiducia e allinearsi alle posizioni dei pidiellini scissionisti incassando la sconfitta politica ma cercando di ricucire i rapporti all’interno del gruppo parlamentare.

Un fatto politico come questo è stato talmente rilevante da far pensare a molti che possa essere considerato come la fine della carriera politica e che i senatori scissionisti, guarda caso tutti cresciuti nella vecchia Democrazia Cristiana o vicini ad essa, siano pronti a formare nuovi soggetti politici e nuove alleanze di governo per chiudere questa Seconda Repubblica e fare spazio alla terza. Senza dubbio si è trattato di un fatto politico rilevante, uno dei più grossi degli ultimi anni, ma Silvio Berlusconi si è sempre dimostrato un osso duro e ogni volta che era stato dato per morto è riuscito a rialzarsi e a restare il protagonista incontrastato della scena politica, per cui non è da escludere che avrà ancora una parte da recitare nel tragicomico dramma della leadership a destra.

Vi è poi la questione onnipresente nel sistema politico italiano della ricostruzione da parte di parlamentari centristi di una nuova Dc che occupi il centro dello spazio politico. È da tempo ormai che qualche parlamentare cerca di rifondarla, a tutti questi andrebbe però fatto notare come questi soggetti finiscano per essere privi della cosa più importante in democrazia, ovvero il consenso all’elezione, e che forse, come ha detto un politico proveniente da quell’area, la DC è una cosa troppo seria per farla fare a qualche democristiano.

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