Così dunque domenica scorsa, a Parigi, col pretesto di «difendere la Palestina», migliaia di uomini e donne se la sono presa di nuovo con gli ebrei.
A questi imbecilli oltre che mascalzoni, o viceversa, ricordiamo, ad ogni buon conto, che mescolare ebrei e israeliani in una stessa riprovazione è il principio stesso di un antisemitismo che, in Francia, viene punito dalla legge. Ricordiamo che nessuna indignazione, nessuna solidarietà nei confronti di una qualsiasi causa può, non dico autorizzare, ma scusare il gesto virtualmente pogromista che è il saccheggio, a Sarcelles, di una «farmacia ebraica» o di una «drogheria ebraica». A tali mascalzoni oltre che imbecilli, o viceversa, che la settimana precedente se la prendevano con due sinagoghe e, otto giorni dopo, recitano un remake penoso, e grazie al cielo ancora in modo minore, della notte dei cristalli, ripetiamo che questo tipo di azioni non trova spazio né in Francia né in alcun altro Paese dell’Europa contemporanea. Segnaliamo loro, en passant, che riunirsi dietro a razzi Qassam in cartapesta riproducenti le granate lanciate, alla cieca, su donne, bambini, vecchi, insomma sui civili di Israele, non è un atto anodino, ma un gesto di appoggio a un’impresa terroristica. A coloro che, fra questi, avevano realmente a cuore la causa di Gaza e sfilavano con striscioni su cui si evocavano le decine di innocenti uccisi dall’inizio della controffensiva israeliana, non saremo così crudeli da chiedere perché non sono mai II, mai, sullo stesso selciato parigino, per piangere, non le decine, ma le decine di migliaia di altri innocenti uccisi, da circa quattro anni, nell’altro Paese arabo che è la Siria. Facciamo notare che i responsabili di queste vittime, delle decine di donne, bambini, vecchi — che, se l’avanzata criminale di Hamas non viene bloccata, saranno, domani, centinaia — sono due, non uno: il pilota che, prendendo di mira una rampa di missili iraniani nascosta nel cortile di un edificio, colpisce per errore l’edificio vicino; ma anche, se non innanzitutto, i mostri di cinismo che, al messaggio del pilota che annuncia di essere sul punto di sparare e invita i vicini a lasciare il quartiere per mettersi al riparo, rispondono invariabilmente: «Che nessuno si muova; che ognuno resti al proprio posto; che 10, 10.000 martiri sono pronti a offrire il proprio sangue alla santa causa, iscritta nella nostra Carta, della distruzione dello Stato degli ebrei».
Quanto agli altri, a coloro che ritengono tali comportamenti causati da eccitazioni febbrili condivise, quanto ai mass media che continuano a evocare la «aggressione» israeliana, o la «prigione» che Gaza è diventata, o la «spirale» delle «violenze» e delle «vendette» che alimenterebbero questa guerra senza fine, obiettiamo che: non c’è aggressione, ma contrattacco di Israele di fronte alla pioggia di missili che, ancora una volta, si abbattono sulle sue città e che nessuno Stato al mondo avrebbe tollerato così a lungo; che Gaza è, in effetti, una sorta di prigione ma, avendola gli israeliani evacuata ormai da quasi dieci anni, non si capisce come potrebbero esserne i carcerieri. Cosa pensare, invece, di Hamas che mantiene l’enclave sotto il giogo, che tratta i propri abitanti come ostaggi e che, mentre gli basterebbe una parola o, comunque, una mano tesa perché cessi l’incubo, preferisce andare fino in fondo alla sua follia criminale?
Fra le violenze e le vendette che ci vengono presentate come «simmetriche», fra l’omicidio dei tre adolescenti ebrei rapiti e trovati morti vicino a Hebron e l’omicidio del giovane palestinese bruciato vivo, due giorni più tardi, da una gang di barbari che disonorano gli ideali di Israele, esiste una differenza che non cambia nulla, ahimè, al lutto delle quattro famiglie ma che, per chi ha la possibilità e, quindi, il dovere di mantenere la mente fredda, cambia tutto: le autorità politiche, giudiziarie e morali di Israele sono inorridite per il secondo omicidio, l’hanno condannato senza riserve e hanno fatto in modo che i suoi presunti colpevoli fossero braccati e arrestati; per il primo, i cui autori non sono ancora stati trovati, bisognava avere un udito assai fine per sentire non fosse che una parola nei ranghi palestinesi: sì, una frase si è udita, quella di Khaled Meshaal, capo di Hamas in esilio, «che si congratulava» per le «mani» che hanno «rapito» i tre adolescenti brutalmente riqualificati, per l’occasione, «coloni ebrei»…
Dubito che queste osservazioni possano avere qualche effetto sui jihadisti della domenica, sempre gli stessi che, un giorno, deplorano che gli si impedisca di ridere con l’umorista Dieudonné; un altro che gli si vieti di esprimere rispetto per Mohamed Merah; e un altro che la diplomazia francese non si schieri come un sol uomo dietro agli «indignati» pro Hamas. Quanto al resto della Francia, agli uomini e alle donne di buona volontà, a coloro che non hanno rinunciato al sogno di vedere, un giorno, questa terra finalmente condivisa, vorremmo tanto che rompessero il cerchio della disinformazione e della pigrizia di pensiero!
No, fra Israele e Hamas, i torti non soNO distribuiti in parti uguali. Sì, Hamas è un’organizzazione islamo-fascista da cui è urgente liberare anche gli abitanti di Gaza. E quanto al capo dell’Autorità palestinese, Mahmud Abbas, egli si rivolge alle Nazioni Unite affinché facciano «pressione» su Israele: ma non sarebbe più logico, più degno e soprattutto più efficace che si rivolgesse ai folli di Dio, che da qualche settimana sono ridiventati i suoi partner di governo, per esigere e ottenere da loro che depongano, senza indugio, le armi? Gli abitanti di Gaza meritano di essere qualcosa di meglio che scudi umani. I popoli della regione, tutti i suoi popoli, sono stanchi della guerra e del suo strascico di orrori: diamo una chance alla pace.