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Cosa siano destra e sinistra (e se abbia ancora senso contrapporsi tra due visioni del mondo e due diverse scelte di campo), cosa siano politica ed antipolitica, sono argomenti di discussione che rientrano nel novero dell'opinabile a cui tanti si dedicano con impegno (si veda al riguardo la polemica Fatto Quotidiano-Repubblica e gli interventi di Padellaro e Travaglio). Ma ciò che esce dall'ambito delle convinzioni personali e rientra in quello della verità storica sono le responsabilità politiche e morali del partito di D'Alema, Bersani e Veltroni nell'ascesa e nella permanenza al potere di Berlusconi, aver progettato più volte con questo eversore riforme costituzionali, aver dimostrato nelle esperienze di governo dell'Ulivo quanto poco avessero a cuore le istanze popolari (e basta citare la legge Treu che aprì la strada alla precarizzazione del lavoro), fino all'attuale esperienza del governo Monti, in maggioranza appunto insieme a Casini e Berlusconi, che affronta la crisi in una logica prettamente di destra e a favore dei poteri forti. Sarebbe bello se vivessimo in un Paese in cui tutte le parti politiche potessero riconoscersi reciprocamente, pur nella differenza delle soluzioni proposte, l'obiettivo di raggiungere il bene comune ma così non è: l'Italia resta divisa tra sommersi e salvati, tra plebi abbandonate al proprio destino e ceti parassitari. Pretendere che quando vi sono persone che si danno fuoco per la disperazione accanto ad altri che vivono con 30.000 euro di pensione non vi sia spazio altro che il politically correct è ridicolo e offensivo: ci manca solo che anche Bersani, dopo Berlusconi, dia vita al partito dell'amore contrapposto al partito dell'odio. Grillo e Di Pietro possono piacere o non piacere ma esistono ragioni concrete nel loro successo e nella loro popolarità e cioè che quei bisogni e quel malcontento che non trova spazio nei partiti 'responsabili' deve necessariamente riemergere in qualche modo. Se c'è una “cosa seria” che andrebbe detta a sinistra è che il problema non è l'alleanza con l'UDC (in tempi eccezionali si può governare insieme anche con i propri avversari) ma che non si può costruire un'alternativa in una coalizione egemonizzata dal PD che usurpa e infanga gli ideali della sinistra del quale diventano complici tutti coloro che ad esso intendono accodarsi (SEL di Vendola e sembrerebbe addirittura i comunisti italiani di Diliberto). Ben vengano gli appelli fondati sulle buone idee ed i buoni sentimenti ma la politica non può fare a meno di fondarsi sui rapporti di forza e sugli interessi dei ceti sociali che si vogliono rappresentare (ed in questo momento, piaccia o meno, il pallino dell'alternativa è in mano a Grillo e alla Fiom) altrimenti si rischia solo di fare confusione riaccreditando l'equivoco di un PD necessariamente al centro della sinistra. Nella giaculatoria di Bersani si può poi rilevare un'ostilità preconcetta nei confronti del web. Non credo come scrive Gilioli che il leader del PD non comprenda il valore di internet e addirittura non sia in grado di interpretare il presente. Credo invece che per Bersani, così come per Berlusconi, sia assolutamente intollerabile che esista un “luogo” ed un “mezzo” dell'informazione che non si può controllare e manovrare, come le televisioni e come i giornali tutti in mano al potere salvo poche eccezioni quali Il Fatto Quotidiano e Il Manifesto. A proposito di eterogenesi dei fini (gli scopi per cui è nato internet e le funzioni a cui deve assolvere) il web rappresenta oggi l'unico spazio di libertà informativa, il luogo dove è possibile fare le pulci a tutte le dichiarazioni, le decisioni e i comportamenti del potere, dove diffondere opinioni fuori dal coro, dove le notizie non vengono fruite passivamente come in televisione ma devono essere sottoposte alla discussione pubblica, vivisezionate ed analizzate. In qualche modo le montagne e i boschi virtuali in cui dar vita ad una nuova resistenza. E per quanto riguarda le persone che al di là del web sono scese nelle piazze per manifestare il proprio dissenso e le proprie idee ricordiamoci di Genova 2001, dei manifestanti No-Tav e degli operai di tante aziende in crisi presi a bastonate dalle forze dell'ordine ed incriminati per la propria protesta.
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