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Bersani e il caos di una nazione prossima al collasso

Creato il 13 marzo 2013 da Vincitorievinti @PAOLOCARDENA
di Paolo Cardenà- BERSANI E IL CAOS DI UNA NAZIONE PROSSIMA AL COLLASSO Il Pd ha la maggioranza alla Camera, ma non al Senato. Chiude le porte ad un governo con il PDL, ma si inginocchia davanti al M5S per elemosinare qualche forma di sostegno. A breve verrà insediato il nuovo Parlamento che, almeno nei numeri, sembra non esprimere alcuna maggioranza idonea alla formazione del nuovo Governo. Bersani dice che non ha vinto le elezioni, ma aggiunge che neanche le ha perse. Quindi, secondo la sua idea,  forte dei 120 mila voti in più ottenuti alla Camera che, grazie al premio di maggioranza, ha permesso al PD di ottenere un'ampia maggioranza quel ramo del Parlamento, egli stesso sarebbe il candidato naturale per ottenere da Napolitano un incarico esplorativo per la formazione del nuovo Governo. Tutto in perfetto stile PD, insomma. Ma cosa succederebbe se Bersani,  dopo aver riscontrato  di non avere i numeri per la formazione di un governo, si intestardisse al punto da fare ugualmente un passaggio nelle aule parlamentari e constatare lì, nelle sedi istituzionali,   la mancanza dei numeri? Su questo tema ci soccorrono  due scuole di pensiero costituzionali, spiegate ottimamente in un articolo di Claudio Cesara, pubblicato su IL FOGLIO. 
I costituzionalisti di area bersaniana (almeno gran parte di essi) sostengono che il capo dello stato, non essendo l’Italia una repubblica presidenziale, non può impedire a un politico che ha ricevuto l’incarico di andare alle Camere e farsi votare la fiducia e non è certo un caso che la storia del nostro paese sia piena di casi di governi di minoranza che si sono presentati in Parlamento senza una maggioranza costituita (tesi sostenuta venerdì in prima pagina sull’Unità da Marco Olivetti, docente di Diritto costituzionale di rito bersaniano). I costituzionalisti di area “quirinalizia” sostengono invece una tesi diversa che se fosse condivisa anche dal capo dello stato (come sembra) porterebbe Bersani a scontrarsi clamorosamente contro un muro che potrebbe essere davvero più resistente del previsto: naturalmente, quello di Napolitano.“Come sa chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la Carta – dice il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore Pd con buone entrature al Colle –anche l’incarico più pieno del mondo non è una delega in bianco ma è un semplice mandato a verificare se esista una maggioranza capace di supportare un governo in entrambe le Camere. E quando l’incaricato torna dal Presidente non c’è possibilità di contraddizione: o ha raccolto una maggioranza e ritira la riserva con cui ha accettato o rinuncia e l’iniziativa ritorna al presidente. Non è pensabile in termini di correttezza costituzionale che chi non ha la maggioranza chieda di essere nominato. E d’altra parte non si può chiedere al capo dello stato di autoridurre i suoi poteri in presenza di una situazione incerta che ne richiede invece l’esercizio attivo”. In sintesi, mentre il fronte bersaniano sostiene che il segretario avrebbe la forza costituzionale per “costringere” Napolitano a dargli il lasciapassare per portare il suo governo in Parlamento e farsi votare la fiducia, dall’altra parte il fronte quirinalizio considera l’ipotesi semplicemente irrealistica. E la questione ha un suo rilievo non solo “dottrinale” ma anche squisitamente politico: grazie alla fiducia che riceverebbe alla Camera, Bersani sarebbe il nuovo presidente del Consiglio, farebbe decadere (dal momento della nomina dell’esecutivo) il precedente governo (cioè quello Monti) e anche in caso di sfiducia al Senato risulterebbe il primo ministro sfiduciato ma in carica per gli affari correnti, cosa che permetterebbe al segretario di traghettare il governo fino a nuove elezioni e di seguire da Palazzo Chigi, per esempio, l’elezione del prossimo presidente della Repubblica.
“Il problema – dice al Foglio Francesco Clementi, docente di Diritto pubblico comparato, sostenitore di Renzi – è che la nostra Carta non dice nulla sul modo in cui si deve formare un governo e dunque è comprensibile che ci sia qualcuno che cerchi di ‘piegare’ la Costituzione rispetto all’esito elettorale. Il punto però – dato curioso – è che a sostenere che il capo dello stato debba essere un notaio, e non il dominus nel processo di formazione del governo, sono le stesse persone che fino a due minuti fa ripetevano a squarciagola che l’Italia, da buona repubblica parlamentare, deve controbilanciare i poteri del premier con quelli del capo dello stato e deve combattere i leader che dimostrano di avere una visione plebiscitaria delle loro funzioni. Della serie: se quello che sta cercando di fare oggi Bersani l’avesse fatto Berlusconi, oggi il centrosinistra sarebbe già in piazza a difendere il capo dello stato e a gridare al golpe, facendo un girotondo e cantando l’inno nazionale…”.
Ad ogni buon conto, qualora le forze parlamentari non riuscissero ad accordarsi sulla nomina di un nuovo Governo capace di governare, in mancanza della possibilità di avere un esecutivo con lo scopo di riformare almeno la legge elettorale,  non resterà che tornare nuovamente alle urne. Ma in questa ipotesi, siccome  il Presidente della Repubblica in carica, negli ultimi sei mesi del suo mandato (il mandato di Napolitano scade il 15 maggio prossimo),  non può  provvedere allo scioglimento delle  camere, occorrerà attendere l'elezione di un nuovo Presidente della Repubblica che, a quel punto, dopo aver nuovamente constatato l'impossibilità di formare un nuovo esecutivo, non avrà altra possibilità che sciogliere le camere e indire nuove elezioni. A questo punto è opportuno segnalare che il nuovo Presidente della Repubblica verrebbe eletto da un Parlamento di  prossimo scioglimento, la cui composizione potrebbe essere profondamente modificata in caso si dovesse andare a nuove elezioni. Quindi, il Presidente potrebbe essere espressione di forze politiche profondamente mutate nelle sue composizioni parlamentari. Stando al quadro sopra descritto e ai quorum deliberativi previsti per l'elezione del Presidente della Repubblica, è sufficientemente plausibile immaginare che il prossimo inquilino del Quirinale, sarà un uomo vicino al PD, con spiccata convinzione europeista allo scopo di rassicurare i Paesi del nord Europa circa la devozione dell'Italia allo scacchiere dell'Eurozona. Tant'è che nei giorni scorsi erano circolati i nomi di Prodi, D'Alema e Amato. Tutte anime pure (si fa per dire) europeiste del PD quali possibili candidati, nonostante, oltre il 70% degli italiani. si siano espressi negando il voto al PD. Nell'ipotesi di nuove elezioni, per avere un Governo operativo espressione di una maggioranza politica, ammesso che le eventuali  prossime elezioni possano restituire una netta maggioranza sia alla Camera che al Senato, dovranno passare non meno di altri 3 o 4 mesi. A meno che Napolitano non decida di interrompere prima il suo mandato allo scopo di accelerare i tempi per le nuove elezioni. Tuttavia, il rischio di andare a nuove elezioni con l'attuale sistema elettorale, è proprio quello di un ulteriore stallo nella vita istituzionale della Repubblica, qualora i risultati delle urne non riconsegnino una maggioranza numericamente ben definita, sia alla Camera che al Senato. Un rischio che l'Italia evidentemente non può permettersi, e che rischia di precipitare nel caos l'intero Paese, stando il deteriorarsi dellecondizioni economiche e sociali in ampi strati della popolazione sempre più frustrata da condizioni di crescente indigenza.  Non a caso, nei giorni scorsi, l'agenzia di rating Fitch, ha declassato l'Italia a BBB+ ponendola ad un passo dal livello "spazzatura", e Moody's ha già avvertito che l'Italia rischia un ulteriore declassamento proprio per lo status di ingovernabilità in cui è precipitata.

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